Questa di Alessandro De Rose è la storia di una rivincita, sulla vita. Lo Speciale di SkySport è la raffigurazione di due grandi amori, per la fidanzata allenatrice Nicole e per il mare. Il ragazzo di Calabria si è lasciato alle spalle gli anni del rancore. La rabbia per un destino che lo ha messo al muro a 14 anni dovendo fare i conti con la scomparsa improvvisa del padre, le incomprensioni con la madre, i problemi economici, le difficoltà relazionali con il mondo dei tuffi.
Da Cosenza si è trasferito a Trieste, sua città d’adozione, per amore di Nicole Belsasso. Grazie ai suoi consigli tecnici e umani è riuscito a entrare, unico italiano, nell’élite mondiale dei tuffi dai 27 metri di altezza. Niente più doppio lavoro, giornate senza sosta che ha comunque affrontato sempre con molta umiltà. Adesso ha smesso di fare il cameriere in pizzeria la sera, riesce a mantenersi con i tuffi. Ha pure tolto alcuni tatuaggi rabbiosi che non lo rappresentavano più, come la grande scritta “vendetta” sulla schiena. Il De Rose del 2019 sfoggia un sorriso pieno, maturo, contagioso
“Sono rinato, amo la mia vita e quello che mi succede intorno. Mi sono ripreso la mia rivincita. Ho dimostrato a me stesso che l’importante non è l’obiettivo ma il percorso che si fa. Ho imparato anche dagli errori. Ho capito che ogni tanto si può inciampare, e io per fortuna ho tante persone che mi vogliono bene, che quando cado mi danno la mano e mi aiutano a tirarmi su”
Alessandro si racconta sopra la piattaforma di Polignano a Mare, unica tappa italiana del campionato Red Bull Cliff Diving. Una intervista ad oltre 20 metri di altezza, con l’intervistatrice legata da una imbracatura, fissata da una corda a terra. Lui invece sopra la pedana sembra un bimbo al parco giochi.
“Mi sento bene a 27 metri di altezza, è il modo che ho per esprimermi al meglio. Amo stare qui. Mia madre mi racconta che fin da piccolo odiavo quando mi dicevano: Alessandro, tu non lo puoi farlo. Penso che il limite in realtà ce lo poniamo noi nella testa, quando invece si può sempre andare oltre. Io ci ho provato attraverso l’altezza“
Una specialità così affascinante ma tanto complicata. Non si possono ripetere ogni giorno simili tuffi, cadute libere a 85 Km/h in meno di tre secondi. Bisogna ingegnarsi, scendendo dai 27 metri ai 10 metri della piattaforma. Come funziona? Prepari una prima parte del tuffo, poi ne prepari un’altra e successivamente in gara devi riuscire ad assemblare l’insieme?
“L’allenamento dai 27 metri è molto fisico, bisogna essere in piscina tutti i giorni affrontare una miriade di ripetizioni. Dobbiamo preparare le tre parti del tuffo che poi i giudici andranno a giudicare: lo stacco dalla piattaforma, l’evoluzione in aria e l’ingresso in acqua. Dalla piattaforma, al coperto, cerco di perfezionare il barani, la posizione di raccoglimento a gambe e braccia tese. Serve molta preparazione a secco, esercizi da ginnasti. Arrivo a dire che è più importante avere una palestra fornita che una piattaforma da 10 metri. Uno si può allenare tantissimo in piscina ma l’allenamento reale è tutto nel cervello, serve tanta testa ed esperienza”.
Adesso che riesci a mantenerti grazie ai tuffi dalle grandi altezze, come si ricordano i sacrifici e gli aneddoti di quando, stanco dopo gli allenamenti, bisognava correre a mettersi la divisa da cameriere fino a sera tarda.
“Facendo il cameriere si imparano tante cose, io non rinnegherò mai quel lavoro. Adesso per fortuna ho però svoltato e ne sono fiero. Sì, posso dire finalmente che il mio lavoro è fare il tuffatore. Una cosa che prima non avrei mai immaginato“.
Le gare di Cliff Diving si svolgono in luoghi incantevoli, scenari mozzafiato, tra gli atleti c’è un legame di stima e di molto cameratismo. Risate, complicità pure con il pubblico. A Polignano De Rose è quasi un’autorità, da italiano gioca in casa, nel 2017 ha conquistato la vittoria. C’è pure un panino con il suo nome. Squisito, anche se non propriamente leggero.
“Ma no, non è così pesante, dai! Lo hanno creato in mio onore gli amici della Pescaria. C’è la verdura e la mozzarella, c’è il pescespada con la soppressata, è un panino rosso perché fatto con il pomodoro. E poi c’è la cipolla di Tropea che addolcisce tutto. Un panino al bacio!”
Ti ricordo nel 2017 a Budapest, continuavi a baciare la medaglia di bronzo conquistata ai Mondiali (ndr- I Tuffi dalle Grandi Altezze sono diventati specialità iridata nel 2015). Quel bronzo ha segnato il primo passo di un De Rose alla ricerca della pace. Gran parte del merito spetta a Nicole che da allenatrice ti ha spronato, da fidanzata ti ha accudito. A livello agonistico a luglio hai l’appuntamento con i Mondiali in Corea del Sud, e l’obiettivo è di risalire sul podio. A settembre invece l’obiettivo diventa sentimentale, c’è l’altare che ti aspetta.
“Non vedo l’ora che arrivi il giorno del matrimonio! È da sei anni che stiamo insieme, ne parlavamo da tanto ma senza mai una proposta ufficiale. Lei era arrivata al punto da dirmi: senti Alessandro, se non me lo chiedi tu, tra un po’ te lo chiedo io. Eh no, qui è salito in cattedra il mio orgoglio da uomo del sud: deve essere l’uomo a chiederlo! Questo matrimonio incornicia il meraviglioso 2019 che sto vivendo”.
Meraviglioso, come la canzone di Domenico Modugno. Del resto siamo a Polignano dove Modugno è nato, c’è una statua in suo onore e pure un lungomare.
“Guarda che cosa ti hanno inventato, ti hanno inventato il mare”, allarga le braccia e cita a memoria il verso della famosa canzone del grande Mimmo nazionale. A Trieste, dove vivi, c’è un progetto che ti sta a cuore e riguarda appunto il mare, l’altro tuo grande amore. Lo vorresti libero da qualsiasi forma di abuso di plastica
“Io amo il mare. Per me non esiste cosa più bella della vista del mare la mattina quando ci si sveglia, ti fa stare bene con te stesso. Mi stringe il cuore nel pensare a quanta plastica c’è nell’Oceano Atlantico, e il nostro Mediterraneo non è da meno, lo stiamo maltrattando. Io inorridisco sapendo che nello stomaco dei pesci ci sono micro organismi di plastica proprio perché amo il mare da vedere ma amo anche il mare da mangiare. Noi ci stiamo avvelenando con le nostre mani”.
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