TORINO – Una partita è bastata per sgretolare le tesi dei maligni. Un intervento, innanzitutto. Quello tra istinto e tecnica a ricacciare in campo la conclusione di Lazovic al minuto novanta di Juventus-Verona sabato sera. Una parata da tre punti, come si suol dire, quella affrescata da Gigi Buffon nella serata del suo secondo esordio con la maglia della Juventus. A 41 primavere suonate. Mica poche, anche per un portiere. Ma nemmeno troppe per riscoprirsi ancora decisivo. Alla faccia, appunto, delle malelingue che nel suo ritorno in bianconero non vedevano che un mesto trascinarsi lungo il viale del tramonto, alla ricerca quasi scientifica di un record in più da superare. Quello di presenze nei club da parte di un giocatore italiano: 902 a 902 con Paolo Maldni. Quello di presenze assolute in Serie A: 647 a 641 per l’ex capitano rossonero. Per ora. Perché quella contro lo stesso Verona che aveva omaggiato il suo addio – un arrivederci, in realtà – nell’ormai lontano 2018 non è stata che la prima uscita stagionale di Buffon tra i pali bianconeri.
Una partita che, appunto, ha certificato quale sia il valore aggiunto di un secondo portiere, alle spalle del titolare designato Wojciech Szczesny, della qualità e dell’esperienza del campione del mondo nel 2006. Che a gennaio festeggerà i 42 anni, ma intanto non vuole saperne di abbassare la guardia. Innanzitutto grazie a un’integrità fisica per nulla scontata dopo anni di tuffi, interventi e spallate in mezzo all’area. «Basti pensare che nel 2010, dopo il grave infortunio alla schiena, fece una lunga riabilitazione con due sessioni di lavoro al giorno per tre mesi di fila – ha raccontato lo scorso anno Fabrizio Tencone, ex responsabile dell’area medica bianconera, nel corso di un congresso a Barcellona -. E poi ogni settimana test medici, oltre a 64 sessioni in piscina, 134 in palestra e altre 23 in campo. Era incredibilmente determinato a recuperare dal problema, ci ha messo tanto del suo con una ferrea volontà».
