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Il senso del milanismo per Ringhio

Alla notizia delle dimissioni di Gattuso, della sua rinuncia a 9 milioni di euro lordi che gli spettavano, in cambio degli stipendi di due anni pagati subito ai suoi collaboratori, ho ripensato a un giorno neanche troppo lontano. Era l’ottobre del 2016 e Rino allenava il Pisa, in pieno travaglio societario: gli stipendi non arrivavano, i fornitori non venivano pagati, una città intera mobilitata per salvare la società e letteralmente stregata da Ringhio, perché lui non mollava e non avrebbe mai mollato. L’incubo sarebbe finito soltanto alla vigilia di Natale con il provvidenziale arrivo di Giuseppe Corrado, l’uomo che ha riportato il Pisa all’onor del mondo. Quel giorno d’autunno, incontrai Rino in uno stanzino del campo di San Piero a Grado, frazione a sette chilometri dal capoluogo, nei pressi di Marina di Pisa. Per prima cosa mi presentò i suoi collaboratori, a cominciare da Luigi Riccio, l’ombra, l’amico, il vice di Gattuso. «Senza di loro, non sarei nessuno», sorrise Rino.

Il gesto che ha compiuto ieri, lasciando la guida della squadra alla quale cominciò a legarsi vent’anni fa, è in assoluta linea con la filosofia di vita del quarantunenne ragazzo di Calabria, perfettamente riassunta nella sua autobiografia: «Se uno nasce quadrato non muore tondo». Il miglior tecnico rossonero delle ultime sei stagioni, come certificano i risultati che ha ottenuto, si conferma anche il miglior timoniere che il Milan potesse avere e che il Milan rimpiangerà molto prima di quanto possa pensare. In questi diciotto mesi, Gattuso ne ha passate di tutti i colori: il cambio di proprietà in corsa; i nuovi dirigenti che dovevano essere la sua ancora e sono stati la sua zavorra; i gravi infortuni che l’hanno privato di alcuni capisaldi del suo gioco; il caso Higuain che ha dovuto gestire in totale solitudine, mettendoci sempre la faccia; il plateale litigio fra Biglia e Kessie; l’oltraggio ad Acerbi compiuto da Bakayoko e Kessie; l’assenza di una società che non lo ha mai sistematicamente protetto e difeso dopo ogni pareggio o ogni sconfitta che rimetteva in discussione la sua permanenza al Milan. Eppure. Eppure, Rino non si è mai arreso. Non si è mai sottratto a nessun confronto, a nessuna responsabilità, spiazzando spesso con la sua sincerità, la sua franchezza, la sua spontaneità gli interlocutori che ha incrociato nel circo mediatico. E caricandosi sulle spalle anche quelle che non gli toccavano, ma erano dei giocatori e dei dirigenti. Rino ha sempre anteposto gli interessi del Milan e dei suoi tifosi ai propri, infischiandosene del denaro, dei calcoli di bottega, mai arruffianandosi chicchessia. Sciascia ha scritto che gli uomini si dividono in cinque categorie: «Gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà». Gattuso appartiene alla prima.


Fonte: http://www.tuttosport.com/rss/calcio/serie-a


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