Giuseppe Marino si racconta.
Una carriera stroncata da un incidente d’auto, a 23 anni, mentre il difensore originario di Romagnolo, quartiere del capoluogo siciliano, allora in prestito al Taranto, tentava di guadagnarsi considerazione e ritagliarsi progressivamente il proprio spazio all’Inter che ne deteneva il cartellino. I giornali specializzati dell’epoca gli preconizzavano un futuro professionalmente radioso, magari una maglia da titolare tra le fila nerazzurre. Purtroppo, un destino avverso ed uno stop forzato tarparono le ali bruscamente al talento siciliano, compromettendone irrimediabilmente il prosieguo della carriera.. Oggi, dopo avere appeso le scarpette al chiodo da tempo e aver conseguito il patentino per allenare nelle serie minori, Giuseppe Marino pensa al futuro.
In una lunga intervista rilasciata ai microfoni di ‘PalermoToday’, l’ex difensore ha ripercorso la sua breve ma intensa carriera. Dall’esordio con la maglia del Favara, passando per l’esperienza al Trapani in Serie C2, dove si guadagna maglia da titolare e ruolo da protagonista, fino al trasferimento all’Inter: “L’allenatore, Franco Rondanini, che per me è stato come un papà, era molto amico di Giancarlo Beltrami, il direttore sportivo dell’Inter. Lui mi studia e mi porta in nerazzurro dopo che impressiono tutti in un torneo in Svizzera. Ho 18 anni, vado a Milano nell’anno dello scudetto dei record con Trapattoni. Annuso la prima squadra, mi alleno con i big e mi innamoro di Diaz e Matteoli, due fenomeni. Nel frattempo sboccio con la Primavera, dove sono il capitano e vinciamo il tricolore, grazie anche ai miei gol: 12. In rosa con me ci sono pure il portiere Mondini, Scapolo, Gallo, Morello e un giovanissimo Marco Delvecchio L’allenatore è Giampiero Marini, campione del mondo nell”82“. La forte concorrenza fa sì che il giovane giocatore venga spedito in prestito al Vicenza, che a quei tempi portava ancora il nome di Lanerossi: “Non c’era più Baggio, ma trovo il mitico Eraldo Pecci e Cantarutti. Gioco con la maglia numero 10, a centrocampo, e faccio un figurone“. Nell’estate del 1990, il ritorno all’Inter alla corte di Trapattoni: “Purtroppo inizio l’anno con la pubalgia, ma quando guarisco entro in pianta stabile in prima squadra. Trapattoni un giorno mi prende da parte e mi dice: ‘Conto su di te, presto giocherai’. Invece non mi fa entrare mai, neanche quando a Bergamo mi arriva un seggiolino mentre mi sto riscaldando a bordo campo. Quanti aneddoti mi legano al Trap. Ricordo quando mi disse: ‘Venditi quella Volvo, è pericolosa’. Colleziono una serie infinita di panchine, 20 in tutto, senza mai giocare. Ma non posso lamentarmi. Vinciamo la Coppa Uefa e il premio destinato ai giocatori tocca anche a me: 52 milioni! Che campioni e che notti. Uscivo con Klinsmann e Stringara. Dormivo in albergo in zona Cairoli e Nicola Berti per un periodo mi offrì ospitalità. Ogni notte arrivavano cinque-sei fotomodelle bellissime, sempre diverse. Ricordo quella cavalcata splendida in Europa: la trasferta al Marakana di Belgrado, con l’Inter che decide di portare un cuoco dall’Italia per paura di subire avvelenamenti, e la semifinale a Lisbona con lo Sporting: dopo la partita siamo andati tutti in discoteca in taxi. Ma Trapattoni non la prese bene: ci venne a prendere e dopo mi punì lasciandomi fuori dall’allenamento“. Nelle notti magiche, anche qualche episodio curioso: “Primo turno, partita di ritorno, giochiamo a Verona con il Rapid Vienna. Prometto a mia madre di farmi vedere in tv ma per esser inquadrato dalla televisione dovevo inventarmi qualcosa. Così quando Berti segna, scatto dalla panchina e lo inseguo fino alla pista d’atletica“. E l’obiettivo è raggiunto.
Il 21 giugno 1992 il tragico incidente a Palermo, mentre tornava a casa con la sua Peugeot dopo avere giocato con la maglia del Taranto, dove era stato mandato in prestito dai nerazzurri: “Ero arrivato quasi a Brancaccio, quindi a casa e mi sono addormentato. La mia auto volò finendo nell’altra carreggiata“. Un edema cerebrale, una frattura alla spalla, la rottura dell’omero e alcune ferite lacero-contuse. Nulla di irrecuperabile, ma i grandi club non attendono: “Purtroppo il sogno di giocare nell’Inter è finito lì. L’incidente l’ho fatto con la Peugeot che mi aveva venduto Jurgen. Quell’auto era stata un regalo dopo tre ospitate al Processo del Lunedì”.
Dopo essersi ripreso dall’incidente, Giuseppe Marino torna all’Inter di Bagnoli ma la sua carriera imbocca una discesa irrefrenabile: “Dovevo fare il titolare, è quello che mi avevano detto in primavera. Ma quell’incidente ha cambiato le cose. Quando sono tornato a Milano, dopo pochi allenamenti mi hanno mandato di nuovo a Taranto ma là gioco pochissimo. Vado a Modena, è il 1993. Ritrovo Beppe Baresi, con cui mi divido la difesa. Fino a quando un giovane mi ruba il posto: è Lele Adani, “Lupetto”, persona squisita, impossibile non volergli bene. Anche se il fenomeno in quella squadra è un certo Enrico Chiesa. Fortissimo“. Dopo Modena ci sono Turris, Marsala e Catania. Agli etnei incontra Pasquale Marino, che definisce “un grande uomo“. Infine, il viaggio oltreoceano in Australia: “Che posto magnifico, giocavo nel Club Marconi, mi pagavano benissimo, c’erano tanti italiani, vivevo a Sidney e stavo da Dio“.
Dopo il ritorno in Italia e le scarpette appese al chiodo, l’ormai ex difensore apre una scuola calcio a Santa Flavia e prende il patentino per allenare nel settore giovanile. Oggi, Giuseppe Marino ha un grande sogno: “Ho ricevuto chiamate dalla Prima Categoria ma ho deciso di rifiutare perché aspetto occasioni migliori. Il sogno è quello di lavorare nel Palermo, visto che non sono mai riuscito a vestire la maglia rosanero da giocatore. O nel settore giovanile oppure come talent scout. So di avere le capacità per svolgere questi ruoli, e poi nel Palermo dei palermitani ci starei benissimo“.