Cagliari e Inter
Gli scarpini appartengono al passato, ma sotto i piedi l’erba non è mai scomparsa davvero, e nemmeno nella mente. Fabio Macellari ha chiuso col calcio ad alti livelli una quindicina di anni fa, dopo una carriera in cui è andato sempre a testa alta. Il terzino classe ’74 originario di Sesto San Giovanni è diventato un uomo a Cagliari alla fine degli Anni ’90 prima del grande salto all’Inter con cui ha realizzato un sogno che cullava fin da bambino: giocare a San Siro. A Milano la fortuna gli ha voltato le spalle, Fabio allora è ripartito da Bologna, dove però si è fatto del male in tutti in sensi. Nel 2002 Cellino gli ha dato una seconda possibilità a Cagliari, ma il “giocattolo” ormai si era rotto. Così Macellari ha preferito defilarsi e oggi vive una vita lontana dai riflettori. Vorrebbe rimettersi in gioco per trasmettere ai giovani la sua esperienza da calciatore e condividere il suo percorso di rinascita come uomo.
Fabio, che cosa fa oggi nella sua seconda vita?
Dopo aver smesso di giocare sono stato a Cagliari, dove sono rimasto fino a due anni fa per stare vicino a mio figlio: io e mia moglie siamo separati. In Sardegna ho allenato il Seulo, una squadra di Prima Categoria con cui ho vinto il campionato. Poi io e mio figlio ci siamo trasferiti a casa mia a Bobbio. Io e mia moglie però stiamo valutando il suo ritorno a Cagliari: devo decidere se andarci anche io oppure se restare qui a casa mia ancora per un po’ di tempo.
Lei oggi conduce una vita tranquilla gestendo i suoi beni?
Assolutamente no, purtroppo ho avuto poca intelligenza e ho speso tanti soldi. Oggi però ho cambiato stile di vita: mi piace vivere nel mio casolare in mezzo alla montagna, dove una persona “normale” magari non ci starebbe. Quella è la mia cuccia. Non ho i vizi di prima, non ho bisogno di macchine sportive da 100-150 mila euro, non devo per forza uscire tutte le sere. Ho una pace interiore difficile da raggiungere per tante persone che hanno smesso di giocare a calcio e poi non hanno più avuto un lavoro da protagonista. Sotto questo aspetto io sono avanti rispetto a loro.
Lei si occupa del suo orto e lavora in un panificio: quando ha scelto di farlo?
Fin da piccolo sognavo di fare questo tipo di vita, a parte il calciatore. È un bel passatempo, purtroppo però in queste valli è difficile vivere perché con questi lavori non ci si ricava più niente. Il panificio non è mio, io ci lavoro quando ci sono i miei amici. Non riesco a stare fermo: se non sono al panificio, sono sul trattore in montagna a tagliare la legna.
Insomma, facendo il taglialegna non si può andare avanti oggi…
No, la vita che c’era qui fino a cent’anni fa è stata rovinata e non esiste più. Bisogna prenderla come la prendo io. Oggi il mio unico pensiero è mio figlio. La scelta di farlo ritornare a Cagliari è stata presa in prospettiva perché la considero uno delle città più tranquille e più belle al mondo come clima e come gente. Al momento io vivo un po’ in una campana di vetro: sono in un’oasi felice qui in montagna. Questo stile di vita è difficile da intraprendere, ma il mio non è un estraniarmi. Sto cercando un tipo di lavoro che faccia per me perché amo ancora il calcio.
Lei ha cominciato la carriera da allenatore: vorrebbe fare questo nel calcio?
Vorrei seguire un settore giovanile importante e lavorare con ragazzi che sono già predisposti non solo tecnicamente, ma anche mentalmente. Io sono diventato “professionista” a 8-9 anni quando ho cominciato a vivere in funzione del calcio. Mi piacerebbe lavorare con ragazzi così per trasmettergli tutto quello che ho vissuto. Vorrei lavorare in Serie A. Considerato il mio passato e gli errori commessi è difficile pretenderlo, ma io ho la coscienza a posto e faccio un’altra vita oggi. Aspetto che qualcuno si fidi ancora di me.
Lei ha giocato nel Cagliari che quest’anno sta facendo grandi cose: ha sentito il presidente Giulini?
Ho parlato con lo staff una volta negli spogliatoi dopo una partita, ma non l’ho mai conosciuto. Io tifo Cagliari e devo tanto a quella maglia. Quando torno in città mi sembra di non essere mai andato via. La gente è molto affezionata a me. Sono felice per quello che sta facendo il Cagliari, speriamo tutti che possa raggiungere un grande traguardo. Prima di tutto però dobbiamo ottenere assolutamente la salvezza per non illudere chi è persino più tifoso di me.
Quale è il segreto di questo Cagliari?
È un mix di cose: Maran ha grandi meriti, ma c’è anche dell’altro. I tifosi danno tanto e fanno tirare fuori alla squadra un 30% in più di quella che ha realmente nelle gambe. Si respira un’aria bellissima attorno al Cagliari ed è una sensazione difficile da spiegare. I giocatori e il mister fanno il 50%, ciò che resta lo fanno città e tifosi.
Lei ha giocato nell’Inter nella stagione 2000-01: che tipo di esperienza è stata?
Ci sono stato solamente per un anno perché poi ho scelto di andare al Bologna in prestito. Ero arrivato a Milano per andare in Nazionale, ma non ci sono riuscito. Mi voleva Lippi, ma poi è andato via. Quando è arrivato Tardelli io, Pirlo e Zamorano siamo stati messi da parte: l’Inter è rimasta un sogno irrealizzato. Io sono di Sesto San Giovanni vicino Milano e fin da bambino sognavo di giocare a San Siro. Indossare la maglia dell’Inter è stato bellissimo: da giovane scavalcavo per andare allo stadio, da calciatore ho avuto il privilegio di entrarci direttamente dai box.
Lei ha legato molto con Laurent Blanc all’Inter: come mai?
Quello è il ricordo più bello della mia esperienza a Milano: condividevo con Laurent la maggior parte del tempo. È una persona speciale, ci trovavamo bene insieme. Durante l’anno la psicologa dell’Inter ci chiamava a turno per tracciare il profilo di ciascuno: ci aveva detto che eravamo i giocatori col carattere più forte. Io e lui eravamo sulla stessa lunghezza d’onda. Avrei voglia di sentirlo, vorrei poter collaborare con lui. So che vive a Montpellier.
Blanc è senza panchina dal 2016 quando ha chiuso col Psg: questa cosa l’ha meravigliata?
No, non mi ha sorpreso. Laurent non fa niente a caso e non è uno che va dappertutto, piuttosto ha preferito fermarsi. Lui ha un certo modo di vivere e un carattere forte: non è uno che scende a compromessi, non accetterebbe qualsiasi destinazione. Il giorno in cui lo rivedremo da qualche parte sarà seduto di nuovo su una panchina importante.
Lei ha giocato anche con Ronaldo il Fenomeno: che rapporto avevate?
Ho un ricordo bellissimo. Avevamo lo stesso procuratore Giovanni Branchini e quindi ci conoscevamo prima che io arrivassi a Milano. Per me Luis Nazario è una persona speciale ed è il giocatore che mi ha colpito più di tutti gli altri nella mia carriera: poterlo vedere dal vivo tutti i giorni è stato qualcosa di spaziale.
Ronaldo il Fenomeno è il più grande di sempre secondo lei?
Bisogna fare delle distinzioni. Ci sono alcuni giocatori che per una determinata caratteristica non possono essere battuti da nessuno: Ronaldo il Fenomeno è uno dei dieci calciatori più forti mai esistiti ed è il numero uno per velocità e tecnica, non ho mai visto nessun altro fare le stesse cose. Lui è stato unico come lo sono Cristiano Ronaldo e Messi. Non è possibile dire chi sia stato il più forte. Sopra di tutti c’è Maradona.