Dal Brasile a Palermo
Nella sua vita ha corso tanto, ha sorriso quasi sempre, ha pianto senza vergogna quando il dolore è stato troppo grande. Fabio Simplicio ha quarant’anni e ha chiuso da cinque col calcio ad alti livelli, ma non ha smesso di pensare e di sognare in grande. L’ex centrocampista scoperto da Arrigo Sacchi ha lasciato il suo cuore a Palermo e non ha dimenticato le emozioni provate nei derby capitolini. Lavorare col sorriso sulle labbra continua ad essere la sua ricetta preferita per vivere bene: oggi Fabio Simplicio gestisce insieme all’ex portiere giallorosso Doni un parco giochi per bambini in Brasile tra dinosauri giganti e montagne russe a due passi da Campinas nello Stato di San Paolo. Possiede anche un ristorante nella sua città natale. E lavora sodo tra un campo da calcio e l’altro per scoprire i calciatori del futuro. A loro darà qualche consiglio di vita, ad esempio scegliere sempre la cosa migliore: quella che fa essere felici.
Fabio, che cosa fa oggi nella sua vita?
Sono diventato un procuratore: lavoro insieme al fratello dell’ex portiere Doni che si chiama Joao. Lui si trova in Italia, io in Brasile. Facciamo questo mestiere insieme. La cosa che mi piace di più oggi è fare l’agente.
Ha fatto qualcosa di diverso dal calcio dopo aver smesso?
Sì, ho aperto un parco per bambini insieme all’ex portiere Doni: è qualcosa di completamente diverso rispetto a quello che facevo prima. Ci sono dinosauri giganti, è davvero uno spettacolo. Proprio bello. Ho anche un ristorante in Brasile. Vivo a San Paolo, una grande città. Ho cambiato completamente vita, il calcio però è la cosa che mi affascina ancora di più.
Aveva voglia di tornare in Brasile dopo tanti anni in Italia?
Sì, ma ero pronto per fare questo passo. Quando sono andato via dalla Roma, ho detto a mia moglie che volevo andare a giocare in Giappone per 2 o 3 anni: poi avrei smesso e sarei tornato in Brasile e così è stato.
Come è stata la sua infanzia? Come è stato scoperto dal San Paolo?
In Brasile ho avuto sempre difficoltà coi mezzi di trasporto per andare a fare gli allenamenti. Sono andato a fare un provino a San Paolo insieme ad altri giocatori: c’erano una trentina di ragazzi. Ho fatto benissimo nel provino e mi hanno chiesto di ritornare. Ho giocato nel San Paolo per 13 anni: è una società con un grandissimo nome in Brasile.
Al San Paolo lei ha giocato con Julio Baptista e Kakà: siete amici?
Sì, loro erano più piccoli di me, ma siamo riusciti a giocare insieme nella Primavera e poi nella prima squadra del San Paolo. Quando Kakà era piccolo tutti gli dicevano che sarebbe diventato un grandissimo giocatore e anni dopo è diventato quello che tutti conoscono. Io e Ricky ci sentiamo ogni tanto: non ci vediamo spesso, ma siamo in contatto.
Lei ha lasciato il San Paolo per andare al Parma: come è nata la trattativa?
Quando è scaduto il mio contratto al San Paolo, il mio procuratore Gilmar Rinaldi mi ha detto che potevo andare al Parma. Lui era lo stesso agente di Adriano che aveva giocato coi gialloblù per due anni. Così sono arrivato in Italia nella squadra di Arrigo Sacchi. Qualche anno prima del mio arrivo avevo fatto un provino con la Primavera in Germania e avevano messo gli occhi su di me, però ero piccolo all’epoca. Poi ho fatto più esperienza e sono diventato un giocatore importante in Brasile: in quel momento Sacchi mi ha chiesto di venire al Parma.
Che cosa ricorda del suo primo giorno in Italia?
Era un Paese completamente diverso dal Brasile. Sono arrivato ad agosto e c’era tanto caldo, a Parma non c’era quasi nessuno per le strade: alle dieci di sera era tutto chiuso. Quando sono arrivato mi sono sentito un po’ perso. Però passare al Parma per me è stato importante. C’erano tanti ragazzi giovani e giocatori esperti come Giuseppe Cardone e Domenico Morfeo: loro mi hanno dato una grandissima mano per imparare subito l’italiano. A calcio sapevo giocare, in Italia ho appreso solo ciò che in Brasile non avevo mai fatto.
Nel 2006 lei è passato al Palermo: che cosa ha rappresentato nella sua vita?
L’esperienza al Palermo è stata uno spettacolo. Quando torno in Italia devo farci un salto sempre. Stimo tantissimo la città e la sua gente che mi ha sostenuto tanto mentre giocavo. Ho giocato con Amauri, Miccoli e Cavani: erano fortissimi. Non era facile giocare con quel trio: Miccoli era un genio, Cavani aveva una grinta pazzesca e tanta voglia di vincere e lo conferma il livello che ha raggiunto, Amauri aveva tecnica e forza. È stato un onore giocare con questi tre ragazzi.
Cavani potrebbe lasciare presto il Psg: lei lo vede ancora bene in Italia?
Al suo arrivo a Palermo era magrissimo. Fisicamente non era come gli altri. Nessuno avrebbe scommesso su di lui. Cavani però è andato in palestra tutti i giorni ed è diventato una bestia mai vista e oggi merita di stare dove è perché lo ha voluto fortemente. Vedo bene Cavani in qualsiasi campionato del mondo.
Nella sua ultima stagione a Palermo lei ha giocato meno. Quell’anno è arrivato Javier Pastore…
Il Flaco è un fuoriclasse, è un bravo ragazzo e ha un talento pazzesco. Oggi seguo poco il calcio italiano, ma so che sta un po’ meglio e che si è ritrovato. Gli auguro un grande futuro e spero che possa vincere lo scudetto con la Roma.
Lei è andato via da Palermo in lacrime…
Avevo vissuto bei momenti lì: a Palermo è nato il mio secondo figlio e con quella maglia ho conquistato anche la convocazione nel Brasile. Per me è stato difficile partire: sapevo che non sarei più tornato a Palermo se fossi andato via. Ero sicuro di questo, per questa ragione mi sono messo a piangere. Ho lasciato persone molto importanti per me.
Oggi il Palermo è in Serie D: le dispiace?
Molto, è veramente un peccato. Ogni tanto parlo col magazziniere Pasquale Castellano: mi tiene aggiornato sui ragazzi e sui risultati. Saliranno in Serie C senza problemi, ma è un peccato vedere dove è finita questa squadra.