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Torino, ora come pensi di convincere Sirigu?

“Non ci sono state difficoltà nel rinnovare. Se non fossi stato convinto delle potenzialità del Torino e di quello che mi può dare a livello personale, non avrei rinnovato per quattro anni. Credo di trovarmi in una delle poche società in Italia che ha la possibilità di crescere, sotto tanti punti di vista, e io voglio dare il mio contributo per fare crescere anche i compagni. Qui si pensa ad un ciclo duraturo perché ci sono tanti giocatori importanti con il contratto lungo: l’idea è quella di un progetto che duri negli anni a venire”. Firmato: Salvatore Sirigu. Parole bellissime, concetti importanti, prospettive ottimistiche. Peccato che siano di un anno e mezzo fa. Era infatti il 19 luglio del 2018 quando, nel ritiro di Bormio, il formidabile portiere sardo aveva motivato così il prolungamento del suo contratto fino al 2022. Ora, è vero che il Salvatore della porta granata non è tipo da cambiare idea e programmi come qualche suo collega cambia maglia e tifosi cui giurare amore eterno, però è innegabile che – 17 mesi dopo – quel manifesto di fiducia nelle ambizioni granata per una scalata verso il top del calcio italiano suoni quantomeno un po’ datato.

Di sicuro, fuori dalla realtà attuale di una squadra e di una società che hanno fatto poco o nulla per uscire dalla mediocrità, tratto peraltro distintivo di quasi tutti e 15 gli anni della reggenza Cairo. Certo Sirigu – persona di notevole caratura e calciatore di un’altra categoria: quasi antica – oggi non rinnegherebbe quei concetti, ma con ogni probabilità sarebbe costretto a rielaborarli alla luce di una situazione, in casa Toro, in cui la fede popolare è ai minimi storici e la disaffezione verso il club ha invece toccato picchi di inedito e unanime sfinimento. Non a caso, nell’ottobre scorso, aveva già corretto parzialmente il tiro dopo aver vinto con l’Italia in Liechtenstein. “L’anno scorso dissi che avrei rinnovato e sarei rimasto perché credevo in questo progetto, ma sapevo che le cose non potevano cambiare in un anno. Quello che stiamo facendo adesso può essere la base del Torino del futuro”. Un modo elegante di disimpegnarsi nell’imbarazzo passando gradualmente dalla convinzione al possibilismo, all’eventualità. Del resto, dal 2005 a oggi il modo verbale più in voga – e più opportuno cui attenersi – nella società di Cairo è il condizionale. E quello, occhio, era per la squadra di Mazzarri (reduce dal pari col Napoli, la partita del primo esperimento sociale in Curva) ancora un periodo decente, rispetto allo sconquasso sancito dall’umiliante flop casalingo con la Spal, nella contestazione di tutto lo stadio. “Dopo la vittoria con l’Atalanta – aveva aggiunto Sirigu – ci siamo un po’ persi. È arrivata la vittoria con il Milan, magari ci siamo sentiti un po’ troppo sicuri ma in realtà siamo diventati anche troppo leggeri: prima c’era stato il Lecce in casa, poi c’è stata la sconfitta di Parma e non m’è andata giù: ora mi aspetto maturità. Spero di vedere quella che serve: chi gioca deve dare tutto in allenamento per meritare il posto, chi non gioca deve dare tutto per mettere in difficoltà l’allenatore. E’ una vecchia storia, anche se chi non gioca sarà sempre più scontento. Crescere è anche passare dalla buona gestione di uno spogliatoio così: imprescindibile, per essere un domani una grande squadra”.


Fonte: http://www.tuttosport.com/rss/calcio/serie-a


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