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Amauri, l'ex juventino col cuore Toro: “Solo chi ci ha giocato può capire cosa significa”

Carattere, forza d’animo e perseveranza, tutto questo è Amauri Carvalho de Oliveira o, più semplicemente, Amauri. L’attaccante compie oggi quarant’anni e proprio in occasione di questa ricorrenza ha ripercorso in esclusiva ai microfoni di Toro News le fasi più importanti della sua carriera: dagli inizi difficili in Brasile, con le tante porte chiuse, all’esordio in Serie A con il Napoli, gli anni a Palermo e le due facce del derby della Mole.

Buongiorno Amauri, a guardarlo adesso, dopo tanti anni di carriera, come racconterebbe il suo avvicinamento al calcio?

“Non ho mai fatto le giovanili, da ragazzino giocavo per divertimento nella squadra della mia città. Non era una società professionistica, non avevamo una prima squadra né una scuola calcio. Poi, man mano che crescevo ho cercato di fare molti provini, ma senza successo. Arrivato a diciotto anni ho avuto la possibilità di farne uno con il Santa Catarina e sono stato scelto per andare a giocare in Serie B”.

Come ha vissuto l’esperienza a Napoli, con cui ha esordito in Serie A contro il Bari e il primo gol da professionista contro l’Hellas Verona?

“È stato il primo vero sogno realizzato. Anche se in Brasile avevo già fatto quattro mesi da professionista. In quel caso ero arrivato in Italia, nel calcio di cui si parla di più, il più bello del mondo. All’epoca avevano tanti campioni, com’è tutt’oggi. Ero un ragazzino arrivato dal nulla e stavo lì, a Napoli. Negli anni ’90 se ne parlava molto in Brasile, c’era Maradona, Careca, Alemao, tutti giocatori di un certo livello. Stare lì e far parte di quel club è stato l’inizio vero della mia carriera. Il primo gol poi è semplicemente indimenticabile”.

Tra Verona, con il Chievo e Palermo è riuscito ad attirare su di sè le attenzioni della Juventus. Come ha vissuto i tre anni bianconeri?

“A Palermo è stato un anno fantastico, poi la Juve mi ha comprato. Sono arrivato in una società che si stava ricostruendo dopo tutto quello che era successo. Veniva dal primo anno in cui era tornata in Serie A e aveva raggiunto la Champions, l’anno dopo sono arrivato io. Non era la Juve di adesso. Il primo anno è stato sicuramente molto positivo, ma gli altri due sono stati difficili dato che non c’era una società solida come c’è oggi. Dopo sono andato a Parma, poi Firenze e ancora Parma, in quel periodo sono riuscito poi a tornare ai miei livelli”.

Dopo la seconda parentesi al Parma, si è fatto vivo il Torino. Qual è stata la partita che ha convinto Cairo a puntare su di lei?

“Ricordo che all’ultimo anno con il Parma eravamo ad un punto di differenza dal Toro per l’accesso all’Europa League. Noi siamo riusciti a vincere l’ultima partita, io avevo fatto due gol e se non sbaglio il Toro aveva pareggiato. Il Parma quindi ha ottenuto l’accesso, ma poi non ha pagato quello che doveva pagare, sono cose che succedono nel calcio e così il Toro è entrato in Europa. Lì è venuto fuori che Ventura mi voleva”.

Dopo tre stagioni alla Juventus, come ha vissuto il passaggio al lato granata della Mole?

“All’inizio ero un po’ così, avevo un passato nella Juve e al Toro avevo sempre fatto gol anche con altre maglie. Ero indeciso, ma allo stesso tempo era una bella sfida: tornare a Torino e fare qualcosa di importante. Quando sono arrivato sono successe molte cose, principalmente il primo giorno, mi hanno detto che non ero il benvenuto. Ho spiegato che, essendo un professionista, non mi interessava il mio passato e che avrei dato tutto per la maglia. Juventus e Torino sono due squadre molto diverse, però la passione dei tifosi granata va al di là di tutto, è un amore incondizionato. Solo chi ha giocato lì può capirlo. Magari si perde tre o quattro a zero, ma se vedono che i giocatori danno il massimo sono capaci di dimenticare. I tifosi del Toro sono esigenti, come tutti, la piazza è davvero calda, poi la Maratona è una cosa pazzesca. Queste cose contano molto”.

Nel corso della seconda stagione con il Toro ha avuto meno possibilità di giocare, cosa l’ha convinta a rimanere?

“Il secondo anno Ventura mi aveva già detto che sarebbe stato difficile trovare spazio, ma non voleva che andassi via. Volevo giocare di più, come chiunque, ma in quel periodo l’allenatore aveva questa idea di utilizzarmi più in Europa League piuttosto che in campionato o magari subentravo, ci sono state molte di queste cose. Il primo però anno è stato molto bello, specialmente quando abbiamo vinto contro l’Athletic Bilbao: la prima squadra italiana a vincere in un campo così difficile. Poi Ventura mi ha chiesto di dare l’esempio e sono stato felice di aver accettato questo ruolo qui. Vedere gente come Belotti oppure Bonifazi quando ancora era un ragazzino della Primavera, che ti ringrazia per un consiglio, è stato molto bello”.

Per concludere, cosa si sentirebbe di dire ai giocatori del Toro che stanno per cimentarsi nella lotta salvezza?

“Se riuscissero a prendere l’esigenza dei tifosi in maniera positiva, questa situazione cambierebbe facilmente. È un momento delicato, ma credo che il Toro abbia una rosa competitiva, bella. È una squadra che ha tutto per rimanere in Serie A. Quello che vogliono i tifosi è che tutti diano il massimo. C’è la condizione, c’è il bomber, c’è il portiere, ci sono difensori e centrocampisti, tutti giocatori che hanno le capacità di ribaltare questa situazione”.


Fonte: http://www.gazzetta.it/rss/serie-a.xml


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