Tra Lecce e Firenze
Pantaleo Corvino è stato abbagliato dalla sua brillantezza, Zdenek Zeman lo ha preso tra le mani e lo ha rifinito come si fa coi diamanti migliori. Bojinov è stato un giovane di bellissime speranze a Lecce: lì è cresciuto, lì ha completato i suoi studi, lì è diventato il giocatore poi applaudito a Firenze, Torino, Parma, Vicenza e Verona. Oggi Valeri ha 33 anni e guardandosi indietro cambierebbe qualcosa nella sua vita. Restando però il ragazzo di sempre: quello che si è guadagnato la fiducia di Pavel Nedved nella Juventus dopo Calciopoli e l’amicizia di José Mourinho dopo un gol importante. E una dedica speciale nei confronti dell’Inter che qualche mese dopo avrebbe vinto il Triplete. Oggi Bojinov ha ancora tanta voglia di giocare e sogna di chiudere la sua carriera dove tutto è cominciato.
Valeri, che momento sta vivendo della sua carriera?
A 33 anni vivo un momento di piena maturità, oggi vorrei averne 20 ma non posso. Vorrei tornare indietro con la testa di oggi. Col passare del tempo capisci tante cose e ripensi a certi atteggiamenti del passato e a tante decisioni che oggi non prenderesti. Alcuni momenti sarebbero potuti essere ancora più belli, ma quando li vivi non puoi capire dove sei. A 33 anni quando tutto quello è finito allora puoi capire che cosa hai vissuto. Non voglio piangermi addosso, voglio pensare avanti.
C’è qualcuno che la ispira in questo momento?
Vedere tornare in Italia un giocatore come Ibrahimovic a 38 anni o vedere Cristiano Ronaldo è uno stimolo: io non sono al loro stesso livello, ma mi carica vedere come combattono per migliorarsi ed essere un esempio per tutti: per le loro famiglie, per le loro squadre, per i tifosi e per i giornalisti. Queste due persone mi danno ancora più fiducia e stimoli per lottare e andare avanti.
Lei si sta allenando in questo momento?
Sì, sono in Bulgaria. Qui la preparazione invernale è più lunga rispetto a quella estiva perché fa molto freddo e non ci sono partite in programma. Il campionato comincia a febbraio.
Quale sarebbe il suo desiderio? Trovare una squadra in Bulgaria? Oppure in Italia?
Vorrei tornare in Italia, ma non vorrei tornare tanto per tornare. Deve esserci un progetto, sogno una squadra con cui rilanciarmi gestita da qualcuno che creda in me. Non è facile, ma finché c’è speranza io ci devo credere.
Spera di tornare in una di quelle piazze in cui si è trovato bene?
Questo è difficile perché quando esci dal calcio italiano, esci dal giro. Tutti cercano giovani con la speranza di poterli rivendere e guadagnare soldi. È una cosa giusta perché anche io ero giovane quando sono arrivato in Italia, che considero la mia seconda casa. Io mi sento un italiano. Ho studiato a Lecce da ragazzino. Oggi la penso diversamente rispetto alla gente che vive in Bulgaria. Sono molto grato all’Italia.
Come è stato giocare nel Lecce? Ed essere allenato da Zeman?
Ho un desiderio: voglio finire la carriera al Lecce dove l’ho iniziata. Non so se succederà, ma nella vita non si sa mai. Con Zeman mangiavamo minestrone, patate lesse, insalata, zuppe e verdura e facevamo tanti allenamenti, sudavamo tanto e macinavamo tanti chilometri di corsa. Grazie a lui sono diventato un giocatore. Pantaleo Corvino lo aveva voluto per la sua capacità di lanciare i giovani come me, Vucinic, Ledesma, Chevanton, Cassetti, Pinardi e Giacomazzi. Era difficile seguirlo, perché era molto duro però alla fine i risultati sono arrivati: non abbiamo vinto ma ci ha fatto crescere. Zeman ha valorizzato Totti nella Roma poi Immobile e Verratti nel Pescara. Il caso di Verratti è emblematico: non ha mai giocato in A ed è passato dalla B al Psg. Il mister ci ha fatto diventare grandi giocatori.
Lei è passato dal Lecce alla Fiorentina: che cosa ricorda?
È stata una grande esperienza. Sono sbarcato a Firenze quando sono arrivati i fratelli Della Valle che hanno fatto partire un grande progetto costruendo una squadra da Champions: con Prandelli ci sono riusciti. L’arrivo di Corvino è stato importante per costruire una rosa con giovani talentuosi e giocatori di esperienza. La tifoseria era calorosa. Se perdavamo, la gente parlava già della partita successiva che avremmo dovuto vincere. Noi uscivamo dal campo stanchi morti e i tifosi pensavano già al prossimo impegno. La tifoseria viola è molto vicina alla squadra e si aspetta molto. Quando sono arrivato io l’allenamento era aperto: c’erano sempre mille persone, ogni gol era un boato.
Nella Fiorentina di oggi c’è il suo zampino? È stato lei a consigliare l’acquisto di Milenkovic e di Vlahovic?
Ai tempi del Partizan Belgrado ero compagno di stanza di Milenkovic: io ero stanco, ma lui voleva che ogni sera gli parlassi dell’Italia e della Juventus. Nikola diceva che nella sua carriera avrebbe giocato in Italia. Un giorno mi ha chiamato Corvino per chiedermi che cosa ne pensassi di Milenkovic e Vlahovic: gli ho detto di prenderli subito senza pensarci e che un giorno avrebbe incassato il doppio di quello che era disposto a investire. Non è un caso che questi due giocatori stiano facendo così bene. Milenkovic ha ancora grossi margini di miglioramento e lo vogliono già tante squadre, ma anche Vlahovic diventerà un campione. Entrambi sono un patrimonio della Fiorentina.
Nel 2006 lei è stato a un passo dall’Inter: perché è saltato il suo trasferimento?
Un giorno ero a casa a Firenze e mi stavo riposando. All’improvviso ho ricevuto una telefonata e ho risposto: dall’altra parte c’era Marco Branca, allora direttore sportivo dell’Inter. Ho riattaccato. Branca mi ha chiamato di nuovo, pensando che fosse uno scherzo ho riattaccato. Poi mi ha contattato il mio procuratore dell’epoca Gerry Palomba insieme a Romualdo Corvino: mi ha detto che dovevo rispondere a Branca. Allora il direttore sportivo dell’Inter mi ha chiamato di nuovo per chiedermi se volevo andare a giocare a Milano: gli ho detto subito di ‘sì’. Quel weekend era in programma Fiorentina-Chievo a Perugia. Branca mi aveva raccomandato di non fare casino e di stare tranquillo perché a fine partita avremmo concluso il mio passaggio all’Inter.
Che cosa è andato storto?
Prandelli mi aveva detto che non sapeva se avrei giocato: il mister era indeciso se mandare in campo me o Jimenez che era appena arrivato alla Fiorentina. Per un posto dietro Toni c’era in ballottaggio anche Pazzini. Il giorno della partita al mattino Prandelli ha comunicato che avrebbe giocato Jimenez. Ci sono rimasto male e mi sono innervosito. Il presidente mi ha chiesto spiegazioni: gli ho detto che non volevo parlarne perché ero molto arrabbiato. Lui mi ha detto di stare tranquillo perché c’erano tante altre partite che avrei potuto giocare. Ho litigato con Della Valle, ma non pensavo che lui se la fosse presa. Al rientro verso Firenze mi ha chiamato Corvino per chiedermi che cosa avessi combinato. La società ha deciso di mettermi fuori rosa e non sono andato all’Inter. Anche Branca mi ha chiamato per chiedermi che cosa fosse successo. Sono rimasto fuori per due settimane poi mi hanno convocato di nuovo e ho giocato titolare in Fiorentina-Inter finita 2-1. Poi l’estate successiva sono passato alla Juve nello scambio con Mutu.