L’ex portiere Ivano Bordon si può senza dubbio definire un mito del calcio per aver vinto due Mondiali. Per il veneziano, uno da atleta nel 1982 in Spagna e poi un altro da componente dello staff di Marcello Lippi nel 2006 in Germania dove era preparatore dei portieri degli azzurri campioni a Berlino. Ma anche a livello di club Bordon ha ottenuto grandi soddisfazioni soprattutto con la maglia dell’Inter, dal ’70 all’83 (due scudetti e due coppe Italia) e poi con la Sampdoria dove aggiunse in bacheca una Coppa Italia. Ai microfoni di Itasportpress.it Bordon ripercorre momenti della sua lunga carriera.
Bordon per i tifosi nerazzurri lei rappresenta il vero “Muro di Berlino”. C’è una partita rimasta nella leggenda nerazzurra: la gara di ritorno contro il Borussia Moenchengladbach nel ’72 nel maestoso stadio olimpico della capitale tedesca. Qual è il ricordo che non ha mai cancellato di quel match dove parò l’imparabile?
Fu sicuramente il calcio di rigore dopo 15′ del primo tempo parato ai tedeschi. Io riuscì a neutralizzare la battuta di Sieloff. Ma di quella partita ci sono diversi episodi che mi piace anche ricordare. Ho contato, rivendendo il match in dvd, circa sette miei interventi decisivi ma non dimentico le 15 uscite alte dove col pallone bagnato e un’area di rigore affollata, respingevo di pugno.
I tecnici che lo allenarono erano estasiati dalle sue grandi risorse acrobatiche e la classicità dello stile. Ma lei è andato mai in crisi?
Ho avuto la fortuna di non avere mai grossi problemi e i momenti difficili li ho superati con il lavoro e sul campo senza pensare alle critiche che mi piovevano addosso non costruttive.
Nello storico scudetto stagione 79/80 dell’Inter tutta italiana, farle gol era un grosso problema. Cosa aveva di speciale l’Inter di Bersellini?
Era una squadra che già l’anno precedente aveva messo le basi per lo scudetto e crebbe in noi la consapevolezza di essere una buona compagine e un gruppo assortito. Giocavamo anche bene e l’anno seguente lo dimostrammo. Un gruppo coeso e tutto italiano con ben otto calciatori che provenivano dal settore giovanile. Un tricolore davvero meritato.
L’Inter di Bersellini valeva più o meno di quella del Trap e di Mourinho?
Ogni squadra vincente ha la sua storia. L’Inter di Trapattoni ha ottenuto un record importante e poi quella del portoghese lo storico Triplete. Noi eravamo tutti italiani in campo ed è questa l’unica cosa diversa tra l’Inter di Bersellini e le altre. Nel ’79 eravamo anche moderni intendo come velocità di giocata e ricordo come uscivano bene palla al piede dalla difesa.
Bordon Inter Getty Images)
La delusione più grande in maglia nerazzurra, l’inaspettato divorzio o qualcos’altro?
Si lasciare l’Inter dopo 13 anni è stato un vero colpo basso. Ero arrivato appena 15enne e andarsene a 32 anni non è stato semplice. Non sarei mai andato via ma capii che lo staff dirigenziale aveva cambiato idea. Io non ho litigato con nessuno e mai creai problemi ai dirigenti anche quando si discuteva del contratto.
In Nazionale 22 presenze e sempre alle spalle del sempiterno Zoff che si dimise da allenatore della Nazionale, dopo una finale europea persa ai supplementari, per un aggettivo: «Indegno». Pronunciato da Berlusconi. Ha mai pensato: “L’avessero detto prima a Zoff, magari avrei giocato di più in maglia azzurra”.
Mai pensato questo anche perchè di Dino Zoff ho una grandissima stima e poi è un amico. Ho avuto la fortuna di far parte della Nazionale nel Mondiale del ’78, nell’Europeo dell’80 e nel Mondiale dell’82. Anche chi non gioca dà sempre la carica ai compagni che vanno in campo e può essere protagonista.
E in Nazionale si è sentito tradito da Bearzot nell’86 quando venne escluso dal Mondiale in Messico?
Non contestai la sua decisione di lasciami a casa ma il metodo, anche perchè con Bearzot ho sempre avuto, durante i sei anni in Nazionale, un rapporto sempre buono. Non costava nulla avvisarmi di aver fatto altra scelta. Purtroppo seppi dell’esclusione via radio. Quando lo incontrai gli dissi che non era stata una cosa bella apprendere della mancata convocazione attraverso la stampa. Lui si offese ma successivamente ci ritrovammo e mi chiese scusa.
C’è nella sua lunga carriera una pagina nera?
Nel nostro sport la pagina nera è quando non raggiungi l’obiettivo e non per un infortunio. Io ho avuto un episodio sfortunato che ancora ricordo. Mi riferisco al gol subito in Coppa delle Coppe il 2 marzo del 1983 a San Siro su tiro del calciatore del Real Madrid Gallego. Mi dispiacque fare quel tipo di errore che fu determinante per la qualificazione e fummo eliminati davanti ai propri tifosi pareggiando 1-1.
Chi sceglie Zenga o Handanovic?
Due portieri dell’Inter forti ma con un carattere diverso. Non riesco a fare paragoni ma quello che mi sento di dire dell’attuale estremo difensore nerazzurro è che deve rimanere a lungo a Milano. Per me potrebbe fare la stessa carriera di Zoff alla Juventus e smettere a 41 anni. Quest’anno lo sloveno con la fascia di capitano si sente più responsabilizzato, più sicuro di se e dà fiducia alla squadra. Non c’è un motivo per cui l’Inter debba separarsi da Handanovic in futuro”.
Quanto c’è di Conte e di Lukaku nella sua esplosione?
Nell’attacco interista l’ex del Manchester United è stato sempre importante sin dall’esordio in maglia nerazzurra però nelle prima partite gli mancava un po’ di agilità forse dovuta alla non perfetta condizione fisica. Poi Conte gli ha fatto sempre sentire la fiducia e il calciatore è uscito fuori alla grande. Il mister è stato importante per Lukaku.
Bordon lei ha appena scritto un libro dove ha fissato le sue memorie: , 16 euro, in vendita online). In questa opera a quattro mani con il giornalista Jacopo Dalla Palma la pagina di copertina è uno storico derby col Milan. Curiosità, retroscena e vittorie raccontate nel libro tante ma c’è un aneddoto particolare della stracittadina?
In un derby giocato nel marzo del ’78, 0-0 a 5′ dalla fine: respinta sul rigore di Calloni, nuova deviazione sulla ribattuta di Aldo Maldera e palla in corner. Questa l’emozione più bella che ricordo in tanti anni di derby giocati.