Di Federico Mariani
Ci sono partite speciali in cui il cuore batte particolarmente forte. Ci sono match in cui i ricordi piacevoli affiorano al punto da rendere difficile, se non addirittura impossibile, schierarsi da tifoso e spettatore. Questione d’amore, di un attaccamento naturale per quelle squadre e quei luoghi dove la vita sportiva ha subito svolte, consacrazioni e maturazioni agonistiche. Lazio-Inter rappresenta questo per Cesar Aparecido Rodrigues, esterno difensivo atipico con il vizio del gol. In biancoceleste ha vinto una Coppa Italia nel 2004, inaugurando nel migliore dei modi l’era Lotito. In nerazzurro, invece, ha aperto il ciclo dei cinque scudetti consecutivi, conquistando due tricolori nel 2005/06 e nel 2007/08. Ora Cesar spera da doppio ex in un finale da protagonista per le squadre che più tra tutte hanno segnato la sua carriera italiana.
Cesar, domenica c’è Lazio-Inter. Un match con in palio una parte di scudetto.
“Bello, non succedeva da tanto tempo di trovarle così in alto in classifica a questo punto della stagione. È davvero molto bello ed entusiasmante. È una partita attesa da entrambe le parti. Sono impressionato dal salto di qualità della Lazio in questa stagione, mentre la crescita dell’Inter non è inaspettata di per sé. Certamente non ci si aspettava subito questo grande rendimento. Sicuramente l’Inter punta a stare in alto, dati gli acquisti fatti per vincere in breve tempo, Avere Conte in panchina contribuisce particolarmente. Lazio e Inter sono due belle squadre che stanno vivendo momenti paralleli. Certo, i nerazzurri hanno mostrato un po’ di discontinuità nell’ultimo periodo, ma può succedere. La Lazio, invece, è in un momento straordinario: basta pensare che ha battuto anche la Juve. Insomma è un campionato inaspettato”.
Secondo lei, il terzetto che si è creato al vertice è dovuto più a un calo della Juventus o alla crescita di Inter e Lazio?
“Valgono entrambe le cose. La Lazio è partita male perdendo con la Spal e pareggiando con Bologna e Verona. La Juve ha pareggiato con il Lecce e lo stesso è accaduto all’Inter. Ci sono tante componenti dietro a questa classifica. Possiamo dire che tutte e tre hanno vissuto un percorso parallelo. Credo che gli manchino sei o sette punti. La continuità di risultati e gli errori sono quasi gli stessi per tutte. È un bel campionato, senza dubbi”.
La Lazio è la squadra che più ha sorpreso con la sua crescita. Può aver inciso la vittoria della Coppa Italia dell’anno scorso per sbloccare definitivamente i biancocelesti?
“Io credo di no perché sono tre anni che il gruppo è valido. Se ci pensiamo gli unici acquisti delle ultime due stagioni sono stati Berisha e Lazzari. Fondamentalmente è sempre la stessa squadra. È l’unione del gruppo a fa la differenza. E poi contribuisce anche la gestione del mister, secondo la quale tutti sono utili e nessuno è indispensabile. Però nemmeno così la Lazio è prima, giusto per capire la difficoltà dell’impresa. Non mi piace parlare di riserve, ma piuttosto di seconde scelte. E quando si hanno opzioni all’altezza in panchina è più facile”.
L’Inter è tornata a sognare in grande grazie ad Antonio Conte. Quanto incide un allenatore così?
“Dietro questi risultati ci sono lavoro, personalità e la certezza di avere alle spalle una società solida. Un allenatore come Conte deve avere le condizioni giuste. Però è sicuro che faccia lavorare bene. Sono pochi gli allenatori che hanno questa forza. Pretendono perché sanno quello che possono dare. Alla Juve c’è già una mentalità simile, l’Inter doveva fare quel salto. È difficile fare bene sempre e ci sono rammarichi per partite sbagliate. Ma l’Inter ha una grande forza”.
C’è qualche affinità tra questa Inter e quella in cui ha giocato lei?
“Diciamo che avevamo un gioco diverso per caratteristiche dell’allenatore. Sicuramente mi fa piacere l’impostazione fisica e l’identità che Conte ha saputo dare”.
Lei ha giocato insieme a Simone Inzaghi. Se lo aspettava così preparato da allenatore?
“Nel periodo in cui allenava la Primavera della Lazio c’ero anch’io nel settore giovanile. Ci confrontavamo spesso, anche perché Simone ha una straordinaria capacità di tramettere le proprie idee e capire le osservazioni degli altri. Ha saputo gestire tante cose. E poi è stato anche fortunato se Bielsa non è arrivato. Ha dimostrato di essere valido, sfruttando l’occasione avuta. Lui ha voglia di fare e ha collaboratori validi. Conosco benissimo il suo staff tecnico: ha ottimi componenti”.
Lazio e Inter sono le squadre che le hanno dato di più. Quali sono i ricordi più piacevoli?
“Sono due squadre rimaste nel cuore. Ricordo con piacere gli scudetti con l’Inter come le vittorie alla Lazio della ‘banda Mancini’. Ci chiamavano così perché eravamo come una musica. Sono onorato di aver vissuto momenti importanti con queste squadre. Mi hanno fatto anche maturare. Quando non ero al massimo all’Inter, Mancini giustamente non mi ha guardato in faccia e ha deciso di lasciarmi ai margini. Sono passaggi che ti fanno crescere o ti buttano giù. Nel mio caso, mi ha fatto maturare e mi ha reso migliore perché ho capito tante cose”.
Tra le squadre rivelazione della stagione c’è il Bologna di Sinisa Mihajlovic. Lei ha giocato con i rossoblu per un anno, proprio quando c’era “Miha” in panchina. Quali sono i suoi ricordi?
“Mihajlovic era al primo anno da allenatore. Come tutti è cresciuto tanto, accumulando esperienza. Poi tutte le pedine giuste sono finite al posto giusto. Anche a proposito della malattia si è rivelato l’uomo che è ed è sempre stato. Lo aveva dimostrato anche da giocatore. È una forza della natura. Mi ricordo con piacere un aneddoto che ci lega ai tempi della Lazio: avevo rimediato un infortunio muscolare e non riuscivo a guarire. Ero deluso e scontento anche perché lo staff medico non era riuscito a individuare una cura adeguata. Mihajlovic mi ha preso con sé, mi ha portato in uno stanzino insieme ai dottori ed è stato categorico: ‘Non mi interessa in che modo, ma Cesaretto (soprannome di Cesar a Roma ndr.) deve guarire velocemente. Ci serve come il pane’. Mi ha mostrato una grande vicinanza e mi ha aiutato a recuperare”.
E ora che cosa fa Cesar da grande?
“Sono tornato in Brasile. Ho tanta voglia di fare. Ho chiesto di tornare a livello giovanile, un po’ come ho fatto finora in Italia. Valuterò qualsiasi soluzione purché sia un progetto valido”.
Cosa le manca del calcio giocato?
“Mi manca quando entri nello stadio e tutti ti chiamano. Avevo una sorta di trasformatore interno. Quando ero in trasferta, mi caricavo per dimostrare chi era Cesar e perché meritava di giocare in una grande squadra. Quando il tifo era a favore, ci tenevo a mostrare la mia gratitudine”.
Cosa le piacerebbe trasmettere ai ragazzi?
“Vorrei che capissero che niente è dovuto. Le cose vanno fatte al posto giusto e al momento giusto. Ma è necessario che si faccia di tutto per realizzare i propri desideri. Se si ha un sogno, bisogna assolutamente tentare di concretizzarlo. Quante persone ho sentito dire che avrebbero voluto fare di più, trovando mille scuse. E invece le occasioni per realizzarsi ci sono sempre. Basti pensare a me. In Brasile a 17 anni ero terzino sinistro nelle giovanili della Juventus San Paolo. L’esterno della Primavera viene convocato nella Nazionale Under 20. Io vengo scelto per sostituirlo nella Primavera. Giochiamo contro la prima squadra e vinciamo con due gol miei. Così l’allenatore mi nota e mi fa diventare professionista. Cosa sarebbe successo se non mi fossi fatto trovare pronto? L’occasione della vita può essere dovunque e in qualsiasi momento. Magari anche durante un allenamento…”.