Calcio e surf
Uno zaino, una volta aperto, racconta molto di chi se lo è messo sulle spalle. Per 28 anni Gianni Comandini ci ha messo dentro un pallone e qualche sogno, diventato realtà con la maglia del Milan e dell’Atalanta e prima ancora con quella della Nazionale Under-21 con cui ha vinto gli Europei nel 2000. Poi un giorno ha detto basta, ha svuotato quello zaino e ci ha messo dentro dell’altro: biglietti aerei, guide turistiche e curiosità inappagate. Chiusa la cintura lampo si parte: in viaggio in Brasile e nel Centro-America, dall’Australia allo Sri Lanka, preferendo strade poco battute e ostelli della gioventù ad hotel lussuosi dove non avrebbe potuto scoprire quell’autenticità che si nasconde sotto la polvere delle cose e sotto le apparenze. Comandini ha riscoperto che cosa significa sentirsi libero in mezzo al mare con una tavola da surf sotto i piedi, solo con i suoi pensieri, mentre l’onda cresce e seguirne le volontà è l’unica scelta possibile. Nel suo cammino Gianni ha scoperto e riscoperto tante cose, compresa la musica che lo ha riportato per qualche anno nella sua Cesena davanti ad una console con le cuffie in testa e la libertà di creare tra le dita. Oggi Comandini è pronto per una nuova avventura, un’altra parentesi nel lungo viaggio che è stata e continua ad essere la sua vita, sempre alla ricerca dell’autenticità.
Gianni, che cosa fa oggi nella sua vita?
In questo momento sono in una fase di transizione. Dopo il calcio ho preso in gestione diversi locali insieme ad altri ragazzi di Cesena: lo scorso inverno si è chiusa questa esperienza. Oggi sto cercando di capire che cosa voglio fare da grande. Ho iniziato un nuovo progetto insieme ad un amico di Cesena, un surfista che lavora anche nel campo del sup: la sua azienda si chiama Safe. È quello sport che si fa in piedi sulla tavola da surf col remo tra le mani: si può usare anche al posto della canoa. Stiamo progettando la prima scuola di surf e di sup a Cesenatico. A questo sport sono legate molte attività come lo yoga e il fitness. Questo sport sta prendendo piede perché a tante persone piace stare in mezzo al mare su una tavola. Sto cercando di capire che cosa fare davvero, difficilmente sarò un istruttore di surf per tutta la mia vita, anche se è l’altra mia grande passione.
Il surf è diverso dal calcio?
È totalmente diverso, è l’opposto per certi versi. Il surf si fa immersi nella natura e non è possibile prenotare l’onda. È il mare a decidere quando puoi surfare. In base alle mareggiate e ai venti ci sono posti in cui si può fare e altri in cui non è possibile. Quando lo fai sei totalmente immerso nella natura. Poi è uno sport individuale: anche se sei in acqua con amici o altra gente in realtà sei da solo. Ognuno surfa a modo proprio e sceglie la sua onda. Il surf ti dá tempo per pensare: quando sei in acqua da solo sei immerso nei tuoi pensieri.
Nella vita da calciatore lei non aveva il tempo per pensare?
Il calciatore si allena tutti i giorni, ma le sessioni durano una o due ore poi c’è il tempo da passare insieme ai compagni di spogliatoio. I calciatori hanno tanto tempo libero, ma la tipologia d’impegno è diversa: sono molto esposti a livello mediatico, quando vanno in giro vengono riconosciuti e hanno a che fare con giornalisti o sponsor o impegni di altro tipo. Il surf non è così. Purtroppo io non ho raggiunto e non raggiungerò mai un livello in questo sport che mi porti ad essere così esposto. È tutto diverso. Faccio surf in maniera molto genuina.
Quando ha scoperto il surf?
Ce lo avevo già in mente quando giocavo. Da calciatore d’estate avevo fatto qualche vacanza nei posti giusti per usare la tavola. Appena ho smesso, ho incrociato il mio amico di Cesena di cui parlavo: ci conosciamo da ragazzini, ci siamo ritrovati quando io sono tornato a Cesena. Mi ha invitato a fare un viaggio alle Canarie per imparare a fare surf: è nato tutto così. Poi abbiamo fatto tanti viaggi. Condividiamo questa passione insieme ad altri amici. Ad oggi per me è quella più grande dopo il calcio.
Lei ha smesso a 28 anni, André Schürrle ha annunciato il ritiro a 29 dicendo che non sente più bisogno degli applausi: si ritrova in questo pensiero?
Io l’ho vissuto sulla mia pelle e capisco quello che intende, ma comprendo anche quello che dicono gli sportivi che non sono calciatori. Ho letto un’intervista di Michael Phelps: lui si è ritirato la prima volta a 27 anni poi è ritornato dopo un po’ di anni. Gli hanno chiesto che cosa lo avesse spinto a mollare all’apice della carriera: lui ha risposto dicendo che per 20 anni non aveva fatto altro che guardare la riga gialla che c’è in fondo alla piscina. Quando ho smesso tutti mi dicevano che ero troppo giovane per farlo, io rispondevo che ero troppo giovane anche per fare altro però capisco chi ha un pensiero diverso dal mio. Io non parlo male del calcio e non mi sono ribellato a niente. Comprendo chi sceglie di giocare fino a quarant’anni e per certi versi lo apprezzo perché è difficile essere professionisti per vent’anni. Per tanti versi è più facile fare quello che ho fatto: essere calciatore per 10 anni poi ringraziare tutti e cambiare vita. Sono stato dipinto come uno che parlava male del calcio: considero il sistema sbagliato per tanti motivi, ci sono troppi interessi attorno ad un calciatore, ma questo succede in qualsiasi ambiente in cui girano molti soldi. Per me il calcio è stata un’esperienza stupenda.
Lo segue ancora oggi? Che effetto le fa sentir parlare di Atalanta e Milan?
Dopo aver smesso non ho seguito il calcio per niente: ho avuto un rigetto, adesso però sono passati tanti anni da quando ho smesso. Quello che sta facendo l’Atalanta è incredibile, per il Milan è un periodo complicato a tutti i livelli, dalla presidenza alla dirigenza. Questo è quello che vedo da fuori. Credo che le proprietà estere delle squadre di Serie A abbiano fatto perdere l’identità che c’era in passato. Quando giocavo io c’erano Moratti all’Inter, Berlusconi al Milan, Sensi a Roma. L’impostazione della società era diversa.
Rivede quell’impostazione nell’Atalanta?
Esattamente: mi ricorda quella delle squadre del passato. C’è un presidente legato alla squadra che ha a cuore la città, il settore giovanile viene gestito in una maniera stupenda. Tutti gli anni tirano fuori 2-3 giovani che poi passano nelle grandi squadre e vengono sostituiti come se niente fosse. All’Atalanta ci sono persone competenti e bravi giocatori, ma una volta era così tutto il calcio italiano. Le società di oggi, alcune in mano ai cinesi, altre agli americani, altre ancora ai fondi d’investimento, non puntano davvero sulle personalità forti per la gestione e fanno solo sventolare le bandiere. Con Paolo Maldini sta andando così: stiamo parlando di uno dei giocatori più forti di tutti i tempi, di uno che ha giocato per vent’anni. Chi c’è di meglio di Maldini per il Milan? Serve un punto fermo: quando manca si creano periodi così in cui i giocatori vanno e vengono, in cui non c’è un progetto e non arrivano risultati. In questo senso la Juve è stata brava: è gestito più o meno come quella di sempre, ha un presidente serio, la società è capace. Mi sembra che abbiano mantenuto più o meno il modello del passato.
Le cifre che girano oggi sono diverse da quelle della sua epoca…
Assolutamente, ma non so nemmeno che cosa dire in questo senso. Probabilmente viviamo in un mondo sballato. Oggi ci sono gli influencer che hanno un milione di follower e questo gli basta per lavorare. Purtroppo la società è andata a finire così e il calcio pure. C’è assoluto bisogno di apparire, ognuno può essere quello che vuole. Alla gente non sembra importare che qualcosa sia vero o falso. C’è pochissima autenticità.
Mandatory Credit: Grazia Neri/ALLSPORT
Uno dei momenti più belli della sua carriera è stato quando ha vinto il campionato europeo Under 21 con Marco Tardelli?
Assolutamente: eravamo un bel gruppo di giocatori, alcuni di loro poi sono stati la fortuna della Nazionale maggiore. Eravamo una squadra molto competitiva, eravamo forti e molto uniti. Mi sono trovato benissimo. Dopo gli Europei abbiamo fatto le Olimpiadi di Sydney: è stata una bellissima esperienza.
La sua strada e quella di Tardelli si sono incrociate più volte…
Con l’Under 21, nel derby di Milano in cui ho segnato due gol e prima ancora a Cesena. Averlo incontrato è stata la mia fortuna. Quando giocavo nella Primavera mi chiamavano per fare le amichevoli. Quando c’era Tardelli, ho fatto il mio primo ritiro con la prima squadra: ero giovane. Lui mi conosceva e mi ha convocato quando ha incominciato a formare il gruppo che poi avrebbe giocato gli Europei Under 21: allora giocavo ancora in Serie C. Però non è stato Tardelli a formarmi come calciatore. Il mio maestro è stato Davide Ballardini che ho avuto nelle giovanili del Cesena quando ero un ragazzino: lui cominciava a fare l’allenatore, io il calciatore. Ballardini mi ha insegnato un sacco di cose. Siamo in contatto: lui abita a Ravenna e ci siamo visti a Cesenatico. Ci siamo ritrovati per una cena di gruppo 3-4 anni e da quel momento in poi non ci siamo più persi.
Quale è il suo rapporto con il derby?
Non lo seguo sinceramente. Se mi capita di guardarlo lo guardo, ma non è un appuntamento fisso della mia agenda. Negli anni in cui viaggiavo non l’ho seguito. In concomitanza col derby fanno rivedere quelli storici, compreso quello in cui ho segnato due gol: questo mi riporta sulla bocca di tanta gente. Quando sono in giro vorrei che qualcuno mi riconoscesse anche per qualcos’altro… Però è normale che sia così: il derby è una partita diversa dalle altre per visibilità. Poi fu una partita con un risultato clamoroso, una di quelle cose che difficilmente si ripetono.