Quando il rigore della scienza sposa la ragione del buonsenso spesso si va a dama, ottenendo una sintesi di pensiero virtuosa in tutte le sue declinazioni. E in questo momento così delicato per il calcio, con la massima divisione impegnata a trovare una strada in grado di consentire di riaccendere i motori, va da sè che le opinioni degli scienziati rappresentino punti di riferimento imprescindibili da cui innestare poi una serie di ragionamenti. Sulla possibilità di vedere tornare a rotolare il pallone, almeno quello ricco della Serie A, abbiamo sentito il professor Giovanni Di Perri, direttore del Dipartimento Clinico di Malattie Infettive presso l’ospedale Amedeo di Savoia di Torino, una delle strutture sanitarie storiche nel nostro Paese nella lotta alle epidemie con la sua apertura datata 1900.
Impegnato in prima linea nell’arginare nel capoluogo torinese il diffondersi del coronavirus, e profeta a inizio marzo nell’ipotizzare per questi giorni di aprile l’arrivo del picco soprattutto qui in Piemonte, Di Perri si dimostra decisamente ottimista sulla possibilità di trovare una via per vedere il massimo campionato di calcio ripartire: «Se uno vuole i presupposti per tornare a far ripartire il campionato li trova. Il calcio non va messo eticamente di fronte a quelli che sono i problemi economici di tutti coloro che devono riaprire le loro attività. E lo dico da cittadino: quello che ha il negozio che non può riaprire e quindi incassare per andare avanti potrebbe indispettirsi di fronte ai calciatori che tornano a fare il loro lavoro. Però in realtà il problema è un po’ diverso e attiene anche all’equilibrio emotivo di tutta la popolazione. Potrebbe essere un buon segnale identificare una modalità sicura per riaprire la Serie A, ovviamente a stadi chiusi. Questa sì che sarebbe una premessa inderogabile, almeno con il contesto attuale. Si riaprirebbe a un calcio visibile in televisione, in grado di dare un po’ di ossigeno al commercio di pubblicità e di diritti tv. (…)».