Pep, il Cholo e Pirlo
Tanta passione e professionalità, con la convinzione che siamo esseri umani e perciò qualche volta fragili. Alessandro Calori è rimasto tutto d’un pezzo anche quando la vita gli ha messo davanti scenari che mai si sarebbe immaginato: da juventino un gol alla Juve che un pomeriggio di vent’anni si è scoperta umana e ha perso uno Scudetto. Poi i quindici anni in panchina a coltivare l’arte della pazienza aspettando il treno giusto destinazione Serie A. Calori ha idee, ambizione ed esperienza maturata al fianco di ex compagni diventati allenatori top: da Guardiola a Simeone. E Pirlo. Gente che pensava in grande come Alessandro: lui aspetta, si aggiorna e sogna un altro gol che possa farlo passare ancora alla storia ed esultare, questa volta dalla panchina.
Alessandro, che momento sta vivendo nella sua carriera da allenatore?
Ho deciso io quando smettere e penso che sia stata una grande fortuna: non sono stati gli altri a decidere per me. Ho smesso e ho iniziato subito la carriera da allenatore. Per un anno ho fatto anche l’osservatore per una società. Ho seguito il master di Coverciano prendendo la qualifica Uefa Pro. Alleno da 14 anni. Mi dispiace solo di non aver avuto continuità. Ci sono tanti allenatori però penso che ci siano figure con esperienza e capacità di lettura, cose che non vanno dimenticate. Aspetto la chiamata giusta. Non vedo l’ora di buttarmi di nuovo nel mondo del calcio. Mi piace, anche se a volte non ne capisco le logiche.
Nel 2012-13 lei ha guidato il Brescia in Serie B fino ai playoff: è la stagione che ricorda con più piacere?
Sì perché è stato un anno particolare. A Brescia ho fatto sia il calciatore che l’allenatore: sono molto legato alla piazza. Quell’anno abbiamo valorizzato tanti giovani nonostante la società stesse vivendo un momento di difficoltà: l’era Corioni stava finendo, c’erano poche risorse. Siamo stati costretti a raschiare il barile senza dimenticare di fare risultati. Siamo usciti ai playoff senza perdere col Livorno: abbiamo pareggiato sia all’andata che al ritorno. Da un lato fu un’annata bella, dall’altro brutta perché l’anno dopo sono rimasto a casa. Sono rientrato a novembre subentrando in panchina al Novara in una situazione particolare: era in atto un ricambio generazionale ed era tutto un po’ da rifondare.
Lei ha avuto come modelli Zaccheroni e Mazzone: che cose le hanno dato?
Zaccheroni è arrivato all’Udinese dal Cosenza: al primo anno abbiamo fatto abbastanza bene, al secondo ci siamo qualificati in Coppa Uefa per la prima volta nella storia della società. Zaccheroni era un allenatore giovane e ambizioso, molto meticoloso, curava la tattica, voleva dare una precisa impronta di gioco alla squadra. Era un gentiluomo. Facevamo un calcio particolare, un 3-4-3 molto offensivo in cui le tre punte erano Bierhoff, Poggi e Amoroso: tutte punte di ruolo e non trequartisti oppure mezze punte.
Poi Zac è andato al Milan e ha vinto lo scudetto: le aveva chiesto di andare insieme a lui?
Al Milan c’era già Costacurta che aveva la mia età: siamo entrambi del ’66 e Billy poteva dargli qualcosa come ha fatto, era un professionista e un giocatore ancora efficace. In cuor suo Zaccheroni mi avrebbe portato volentieri con sé, in quello spogliatoio però c’era ancora una figura importante come Costacurta.
E Mazzone?
Una persona fantastica per come gestiva il gruppo. Ti faceva capire tante cose con le battute, per noi era un padre. Guai a chi toccava i suoi giocatori, con noi però era severo. Mazzone ti proteggeva, era leale: ci diceva sempre di non giudicarlo come allenatore ma come uomo, questa era la sua filosofia. Facendo così forse si sminuiva un po’ però era una persona simpatica. Gli ho voluto un bene dell’anima per i tre anni in cui siamo stati insieme. Abbiamo fatto grandi cose insieme al Brescia con Guardiola, Baggio e Pirlo.
Lei ha giocato anche con Simeone al Pisa: che differenze ci sono tra il Cholo e Pep?
Già all’epoca erano molto diversi. Io e Simeone eravamo compagni di stanza quando lui aveva vent’anni. Al Pisa nel 1990 c’era anche Chamot, un altro argentino come il Cholo, un ragazzo perbene che dove lo mettevi stava. Simeone invece era già esuberante, uno sveglio, aveva cattiveria e determinazione nel fare le cose, era un ragazzo di grande carattere. Scherzavamo spesso, lui però si faceva sempre rispettare.
E Guardiola invece?
Pep era un ragazzo molto intelligente e avanti per tanti aspetti, smanioso di fare un certo tipo di calcio quando giocava ancora. Voleva sempre il pallone: glielo avevano insegnato alla scuola di Cruijff al Barça. Guardiola aveva voglia di allenare ed è diventato un tecnico importantissimo. Nella mia carriera però avuto anche la fortuna di giocare anche con Oliver Bierhoff che è un amico e oggi fa il dirigente ad alti livelli. Anche lui è un ragazzo di spessore, uno di quelli che parlano coi fatti e poco con le parole.
Lei ha giocato con Pirlo nuovo allenatore della Juve: è stato Mazzone ad ‘inventarlo’?
Sì, è stato Mazzone a mettere Pirlo regista: al Brescia c’era già Baggio così il mister mise Andrea davanti alla difesa. Mazzone ci teneva a farlo giocare perché aveva qualità. Così è iniziata la carriera di Pirlo: poi si è infortunato, con noi ha giocato poco ma lo ha fatto bene, poi è passato al Milan e con Ancelotti ha fatto strada lungo quel percorso. Pirlo è un leader silenzioso, un ragazzo che si è saputo trasformare fin da giocatore: ha cambiato ruolo ed è diventato uno dei registi più forti al mondo. Queste sono doti utili anche per gestire uno spogliatoio importante come quello della Juve. Credo che Pirlo abbia la tranquillità e l’intelligenza per stare in certi ambienti. Non credo sia uno sprovveduto.
Alcuni pensano che la scelta della Juve sia stata un po’ affrettata…
Può sembrarlo però io credo che Pirlo, piano piano, possa fare un percorso importante col sostegno della società. Dipenderà dal tipo di copertura che avrà alle sue spalle. Pirlo dovrà affrontare una situazione del tutto diversa. Qualcuno pensa che diventare allenatore dopo aver fatto il calciatore sia semplice ma non è così: sono due cose diverse. Io però credo che Pirlo sia un po’ speciale e penso possa fare bene iniziando subito dall’alto. È giusto che Andrea si giochi questa possibilità. Sarà il campo a dire se può fare o meno l’allenatore, io gli auguro il meglio. Pirlo è un umile, molti dicevano che sembrava burbero e triste invece è un ragazzo di compagnia che sa sorridere e che sa farsi voler bene.
Pensa che la Juve voglia fare la rivoluzione?
Credo che qualcosa cambierà: lo penso vedendo come si sta muovendo. Quando i vertici della Juve scelgono qualcosa lo fanno con determinazione. Credo che il cambiamento non riguardi solo la guida tecnica: lo dico in base a ciò che si mormora. Verranno prese decisioni forti. Per commentarne le ragioni bisognerebbe conoscerle. C’è aria di grande cambiamento, non so però quale sia la direzione.