Il mondo del calcio la ricorda come la affascinante dottoressa che si prendeva cura dei calciatori del Chelsea all’epoca di Josè Mourinho, con cui poi ha anche litigato. Ma Eva Carneiro è prima di tutto un medico e come tale può decisamente dire la sua per quello che riguarda l’epidemia di Covid-19, che ormai ha travolto anche l’Inghilterra e la Premier League. E, intervistata dal Daily Mail, ha spiegato che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, chi fa attività sportiva a livello professionistico non è affatto più protetto dalla possibilità del contagio. Anzi, i calciatori sono una categoria a rischio.
SISTEMA IMMUNITARIO – “I calciatori professionisti hanno solitamente un sistema immunitario debole, lo dimostrano i test del sangue e le percentuali di incidenza di infezioni del tratto respiratorio superiore, esattamente come parte questo virus. Dipende dalla quantità di sport che praticano. L’attività fisica, giocare a un livello professionale, magari scendendo in campo ogni 72 ore, crea problemi di affaticamento al corpo, così come l’allenamento”. Dunque, essere allenati e in buona forma fisica non è esattamente un punto a favore, come del resto conferma la sportivissima vita del cosiddetto “paziente 1” in Lombardia.
VOLI E INCONTRI – Ma anche lo stile di vita crea problemi. “Il fatto che debbano spesso viaggiare, anche facendo voli transoceanici, significa che devono entrare spesso in aeroporto, anche se volano con aerei privati. E viaggiare spesso crea cambiamenti nelle abitudini del sonno, a volte si arriva in piena notte. Il che crea al corpo un affaticamento che li rende più suscettibili a questo tipo di contagio”. Per non parlare del fatto che i calciatori incontrano costantemente un gran numero di persone…per lavoro. “I calciatori parte di una tipologia di persone che sono molto esposte. Giocare le partite significa anche venire a contatto con altre squadre, altre persone, di diverse nazionalità, che a loro volta sono molto esposte ai contagi perchè viaggiano, e che hanno diversi livelli di immunità”. Dunque, il mondo del calcio non è affatto al sicuro. E la decisione di fermare tutto appare sempre più quella giusta.