L’Inter, Ronaldo, il giorno dopo il 5 maggio
Nell’ombra lunga che la tragedia e il dolore portano con sé si nasconde spesso una commedia e il suo sapore dolce di rivincita. Così è stato per il pubblico interista che il 5 maggio 2002 ha pagato il biglietto a caro prezzo nel teatro dell’Olimpico dove è andata in scena “Lazio-Inter 4-2”, uno spettacolo che molti affibbiano ancora allo slovacco Vratislav Gresko. Quel giorno l’ex terzino fu tradito forse dall’emozione, sicuramente da se stesso, e così facendo regalò la scena al ‘cattivo’ Karel Poborsky che si prese gli applausi della vittoriosa Juve di Antonio Conte, che all’epoca era schierato dal lato bianconero della storia. Sono passati più di 18 anni da allora e l’Inter ha da tempo ritrovato il riscatto, prima negli anni di Calciopoli poi in quelli con José Mourinho al timone. Oggi Gresko ha 42 anni e si è messo alle spalle quel pomeriggio: dopo aver smesso si è dato al teatro nella città slovacca di Banska Bystrica e ha ricominciato col calcio da un anno a questa parte.
Vratislav, lei oggi si occupa di teatro: come è nata questa passione? Che cosa fa nella sua vita?
Il teatro è solo un hobby, è un gioco, non è una cosa in cui mi impegno davvero. Il teatro è un divertimento: per fortuna è sempre pieno, io però faccio anche altre cose nella mia vita. Dallo scorso anno alleno i ragazzi Under 15 e voglio studiare per prendere la licenza Euro Pro. Mi piace allenare, ma non basta aver fatto una carriera importante da calciatore per farlo. Bisogna osservare altre società, andare a seguire i settori giovanili e le prime squadre. Bisogna andare all’estero, non è possibile farlo restando in Slovacchia. E bisogna conoscere le lingue.
Lei parla ancora un ottimo italiano…
Abbiamo tanti amici in Italia: parliamo spesso con loro, seguiamo il calcio italiano. Sono sempre aggiornato su quello che succede in Serie A.
Che cosa ricorda della sua esperienza in Italia?
Non era un periodo semplice. Secondo me oggi è tutto diverso perché i calciatori slovacchi vengono trattati diversamente nel vostro Paese. I nostri giocatori sono più conosciuti, oggi ce ne sono tanti in Serie A: Haraslin nel Sassuolo, Vavro nella Lazio, Skriniar nell’Inter, Kucka nel Parma. Ai miei tempi la situazione era diversa, ma l’Italia è stata comunque una buona esperienza per me.
La storia calcistica della Slovacchia è cambiata dopo la vittoria contro l’Italia al Mondiale 2010…
Con quel successo si sono spalancate per porte della Serie A per noi. Avevamo fatto un’impresa: non succede tutti i giorni di battere l’Italia. In quel Mondiale non eravamo messi bene, ci siamo salvati all’ultima partita. Poi tanti giocatori sono andati a giocare in Italia: ad esempio Vladimir Weiss e Kamil Kopunek. È difficile paragonare il periodo in cui io ho giocato in Italia con quello di oggi: sono molto diversi.
Che cosa ricorda del suo arrivo all’Inter? Lei arrivava dal Bayer Leverkusen…
Sono arrivato con poca esperienza e poche partite sulle gambe. Ho fatto il salto in una squadra grandissima con una bella storia calcistica, tanti tifosi e una bellissima città alle sue spalle. Purtroppo non avevo disputato tante partite in Germania per via di un infortunio muscolare.
Fu Tardelli a volerla all’Inter?
Dopo l’Europeo del 2000, l’Inter ha cambiato allenatore: al posto di Marcello Lippi è arrivato Marco Tardelli che mi voleva fortemente. Io avevo avuto altre quattro offerte da squadre di Serie A: molto interessanti e non molto più piccole dell’Inter. Alla fine il Bayer Leverkusen ha trovato l’accordo coi nerazzurri: me lo hanno annunciato e mi hanno chiesto se volevo trasferirmi a Milano. Ho accettato.
(Photo by Alexander Hassenstein/Bongarts/Getty Images)
Che rapporto aveva con Ronaldo il Fenomeno?
Abitava sopra di me nello stesso palazzo. Era una grande persona, un calciatore unico. Anche al Leverkusen ho giocato coi brasiliani Ze Roberto ed Emerson: sono stati grandi giocatori, con loro ho avuto sempre un grandissimo rapporto. La stessa cosa è successa con Ronaldo e Adriano con cui ho giocato insieme al Parma. Coi sudamericani mi sono sempre trovato bene. Ronaldo era troppo forte, contro di lui era impossibile difendere, nemmeno Ivan Cordoba in allenamento ce la faceva perché Ronnie era sempre un passo in avanti con le sue finte.
Come è stato il suo secondo anno all’Inter?
È stata una delle stagioni migliori della mia carriera, anche se non abbiamo vinto lo scudetto. Mi ha dato tanto anche la presenza di Hector Cuper in panchina. La squadra andava bene anche se le cose alla fine sono andate come tutti sanno. Come allenatore dico sempre che si vince e si perde tutti insieme. Se vince la squadra allora vince anche l’allenatore, se la squadra perde allora perde anche l’allenatore.
Le fa rabbia che quella sconfitta sia stata legata al suo nome?
Non hanno massacrato solo me, tutta la squadra è stata massacrata. Anche io ho sbagliato, ma potrei menzionare tante altre cose che ci hanno impedito di vincere quell’anno. Bisogna pensare alle cose belle e mettersi quelle brutte alle spalle: non dimenticarle, ma saperle usare nel futuro.
Il presidente Massimo Moratti vi ha detto qualcosa dopo lo scudetto perso il 5 maggio?
La famiglia Moratti ci ha sostenuto sempre anche quando le cose non andavano bene: ci è stata sempre vicina. Lo ha fatto anche Giacinto Facchetti che oggi non c’è più. Nella mia carriera ho giocato in squadre come il Bayer dirette da una fabbrica e in club gestiti come una famiglia dalla società: all’Inter è andata così e mi sono trovato davvero bene.
Quando avete perso il campionato nella stagione 2001-02?
Ovviamente nell’ultima partita: vincendo con la Lazio avremmo vinto lo scudetto, ma abbiamo perso. A Verona contro il Chievo eravamo avanti 2-1 poi però la partita è girata e abbiamo preso gol all’ultimo minuto. Ci sarebbe bastato battere l’Atalanta in casa per vincere lo scudetto invece abbiamo perso: io però non avevo giocato perché squalificato per somma di cartellini gialli. Uno può trovare sempre il modo per giustificarsi, io però non cerco scuse per quello che è successo. Il giorno dopo eravamo delusi. Quando uno ama il calcio e perde poi è deluso.
Nicola Ventola ha raccontato che lei è andato a fare un giro per Milano il giorno dopo la sconfitta dell’Olimpico e ha avuto una brutta disavventura: è vero?
Io ho tanti amici interisti in Italia: anche loro mi hanno chiesto se questa cosa è vera e perché ho sbagliato. Io non voglio dare colpe agli altri, mi prendo le mie responsabilità. Ero giovane, avevo 22 anni. Dopo una sconfitta che faceva male, la cosa migliore da fare è chiudere la porta di casa e rimanere lì dentro e non andare in giro. I tifosi vanno allo stadio per vedere la propria squadra vincere e quando non succede si arrabbiano. I tifosi pensano che i giocatori possono influenzare l’andamento delle cose. Quando un calciatore va in città, a prescindere dal fatto che abbia giocato o meno il giorno prima, viene beccato dai tifosi che incontra e deve prendersi le colpe. In ogni nazione però è diverso.
Lei aveva già perso lo scudetto all’ultima giornata?
Sì, altre due volte in carriera. In Slovacchia con l’Inter Bratislava e in Germania col Leverkusen: in entrambi i casi abbiamo perso lo scudetto all’ultima partita. Quando giocavo nel Bayer ci bastava pareggiare contro l’Unterhaching e invece abbiamo perso, i tifosi di ogni nazione però reagiscono diversamente. Quando sono arrabbiati in Italia lo fanno sentire: l’ho imparato anche durante la mia prima stagione all’Inter. In Germania e in Inghilterra invece non si comportano così. Noi abbiamo lasciato tutto quello che avevamo sul campo, quel pomeriggio contro la Lazio abbiamo dato il 100%. Purtroppo a volte le cose vanno bene, altre volte no. Comunque l’Inter con José Mourinho ha vinto tutto quello che c’era da vincere e sono contento per questo.
Lei è tifoso dell’Inter oggi? Ha rapporti con la società nerazzurra?
Ho rapporti sia con l’Inter che con altre società e non solo in Italia: ho amici in Germania e in Inghilterra. Seguo alcune squadre in Italia e soprattutto alcuni giocatori. A Parma ho giocato poco, ma lo seguo perché c’è Kucka. Vedo la Serie A e quando l’Inter vince sono contento.
Le piacerebbe tornare in Italia per fare l’allenatore?
Perché no! Ho giocato in Germania, in Italia e in Inghilterra: ho fatto grande esperienza da giocatore, ma questo non mi basta. Bisogna frequentare le società di calcio, seguire gli allenatori e gli allenamenti, chiedere che cosa fanno e come lavorano. Ne sono consapevole.