Di Federico Mariani
Il suo stile di gioco elegante gli fece guadagnare il soprannome di “Barone”. Eppure, guardando il ricco palmares, verrebbe da affibbiare a Franco Causio il titolo di “Re di Coppe”. Sei gli scudetti vinti, che si sommano a una Coppa Italia, una Coppa UEFA e soprattutto un Mondiale nel 1982. Ma oltre ai numerosi successi, l’ex stella di Juventus, Udinese e Lecce si è saputo ritagliare uno spazio importante grazie alla capacità di interpretare il ruolo di ala. Da esterno classico si è trasformato in un tornante capace di arare la fascia, aiutando la squadra in entrambe le fasi. E sicuramente a molti attaccanti odierni farebbe piacere ricevere un cross “alla Causio” per andare in gol. Il campione del mondo 1982 si è raccontato ai microfoni di Itasportpress.
Causio, l’emergenza Coronavirus ha paralizzato l’Italia e, di riflesso, anche lo sport italiano. Che idea sia è fatto di questa situazione?
“Non sta a me sapere come muoversi. Credo che le idee chiare debba averle chi è alla guida del governo. Noi possiamo avere le nostre impressioni. Detto ciò, siamo tutti d’accordo che la salute ha la priorità su tutto. Noi cittadini italiani dobbiamo essere una cosa sola, rispettando le misure precauzionali. Vincere questa battaglia varrebbe ben più di un Mondiale. Rilancio anch’io l’appello degli ultimi giorni: restate a casa. Vedo troppa gente che esce da casa. Mostriamo la nostra forza in questa occasione con la giusta coesione.Per quanto riguarda l’ambito sportivo, io manterrei la sospensione di ogni manifestazione fino a quando non ci saranno la libertà e la sicurezza di andare a vedere le partite senza problemi. Un calciatore non ha stimoli quando gioca in uno stadio vuoto”.
Dunque lei non è a favore della soluzione a porte chiuse.
“Esattamente. Inoltre penso che i vertici del calcio italiano avrebbero dovuto fermare tutto subito, immediatamente. In questa situazione non c’è spazio per i compromessi. E poi non so che tipo di scudetto possa essere e che sapore avrà”.
Qualora il campionato dovesse ripartire effettivamente, come valuta i valori in campo?
“Fino a quando hanno giocato, Lazio e Juventus si sono mostrate le più forti. L’Inter mi sembra più in difficoltà rispetto a queste due squadre. E la Lazio ha giocato ancora meglio e convincendo maggiormente rispetto alla Juve. Va detto che i bianconeri hanno una rosa molto forte e più abituata a queste volate. Dal canto suo, però, la Lazio è quella che ha messo maggiormente in difficoltà la squadra di Sarri. Sarà qualcosa di completamente diverso perché tutto si riazzera e si riparte per un campionato di dodici partite. Non è facile da preparare dal punto di vista atletico perché i giocatori sono fermi in questo momento. Credo sia veramente difficile riprendere. Non so ora che scelte farà la Lega. Sicuramente ad aprile non credo si possa ricominciare”.
Se la volata scudetto è un affare tra Juventus e Lazio, chi potrebbe trarre vantaggio da questa lunga pausa e dal nuovo format della stagione?
“Onestamente non saprei dire quale è favorita. Attualmente non c’è un quadro chiaro: non sappiamo come riprenderanno Champions ed Europa e quali saranno i loro calendari. È un dettaglio non secondario e trascurabile. La Juve ha una rosa vasta e anche senza la sosta non sembrava avere problemi. Ma dipenderà molto dalla distribuzione delle gare di Champions. La Lazio ha il vantaggio di potersi concentrare su dodici partite da qui alla fine, senza fare i conti con le coppe”.
Anche quando giocava lei, la Vecchia Signora era la squadra da battere. Come si spiega questa longevità agonistica dei bianconeri?
“Credo che la Juve sia sempre stata la squadra più ‘provinciale’ nel modo di giocare. Ma oltre a quello ha la classe e la mentalità di una grande formazione. Questi sono i punti di forza che hanno fatto la differenza”.
Il calcio è cambiato molto da quando ha smesso di giocare. In quale aspetto si riscontra la maggiore differenza, dal suo punto di vista?
“Mi ha colpito molto la metodicità degli allenamenti. Quando ero un giocatore, non c’erano programmi personalizzati. Ci allenavamo, tornavamo a casa e ci si vedeva il giorno dopo. Ora invece gli esercizi si svolgono anche al di fuori del centro di allenamento. Io non avevo neanche l’acqua da bere quando mi allenavo (ride ndr.). Tutto questo è merito delle nuove tecnologie. Gli strumenti sono diversi. Lo stesso vale quando si deve fare la relazione di un calciatore: una volta era necessario essere sul posto per vederlo all’opera. Ora invece, grazie a Internet, ci sono tantissimi sistemi per avere materiale su cui giudicare un giocatore senza necessariamente seguirlo dal vivo”.
Se avesse avuto l’occasione, le avrebbe fatto piacere allenarsi con questi sistemi innovativi?
“Bisogna dire che, già quando io ero giocatore, eravamo grandi atleti. Se fossi stato seguito con questa specificità, saremmo stati tutti dei Cristiano Ronaldo fisicamente (ride ndr.). E nella mia Serie A c’erano Platini, Zico, Falcao, Maradona… Chissà che giocatori avremmo avuto dal punto di vista atletico”.
Crede che il livello si sia abbassato?
“Quando giocavo io, il tasso qualitativo era notevole. Ora faccio fatica a distinguere gli stranieri che fanno la differenza in questo modo. Oggi è dura trovare un italiano particolarmente incisivo. La bravura del Commissario Tecnico Mancini sta nel ridare entusiasmo in Nazionale. Roberto è la persona giusta per un compito simile. Peccato per l’Europeo rimandato, ma non si poteva fare diversamente”.
Lei in carriera ha conquistato sei scudetti. Qual è stato quello che le ha dato maggiori soddisfazioni?
“Se dovessi sceglierne uno, direi quello dei 51 punti, battendo il Torino di una lunghezza. All’epoca ottenere un simile punteggio era incredibile. In quel campionato la prima e la seconda classificata fecero qualcosa di straordinario. Fu una sfida avvincente fino all’ultimo. Per noi era una rivincita perché avevamo perso un campionato contro il Torino. Avevamo cinque punti di vantaggio, ma loro rimontarono fino a vincere il titolo. Quando abbiamo incontrato Boniperti all’inizio della nuova stagione, ci fece vedere la fotografia del Perugia. Per fortuna l’anno dopo non ci fu bisogno di rivederla…”.
Lei è stato anche giudice del campionato a favore della Juventus quando passò al Lecce nel 1985/86.
“Vero, era il Lecce di Fascetti. Ma non credo che sia stata opera nostra. Il campionato lo perse la Roma dal punto di vista psicologico. Non so cosa sia scattato nella loro testa”.
In mezzo tra Juve e Lecce, il capitolo Udine.
“I miei tre anni a Udine sono stati importanti personalmente. Non sono mai andato via dalla Juve. Direi piuttosto che sono stato ceduto a Udine. La prima telefonata l’ho ricevuta dal CT Enzo Bearzot. Mi disse: ‘Vai nella mia terra e fai tutto quel che puoi nel migliore dei modi. Dimostra di essere quello che eri a me e alla Juventus. Poi ci sarà posto per te in Nazionale’. Mi è venuto a vedere due volte, mostrando di tenere a me. Ho giocato altri nove anni, smentendo chi diceva che ero finito fisicamente. Potevo tornare a Torino perché avevano cambiato progetto tecnico a Udine. Alla fine, però, ho scelto l’Inter”.
E in Friuli ha incontrato un fuoriclasse di nome Zico.
“Lo conoscevo prima del suo arrivo a Udine. Avevo fatto i Mondiali del ’78 e l’Italia aveva sfidato il Brasile. Nell’anno successivo siamo andati in Argentina per la sfida ai campioni del mondo con la selezione del Resto del Mondo. Da quando è arrivato in Friuli è nata una bella amicizia. Siamo stati insieme anche quest’estate. Ho ottimi ricordi della nostra avventura friulana: penso al 3-3 in rimonta a San Siro sotto di due gol. Segnammo lui e io. E poi gli feci l’assist per il gran gol contro la Roma di Falcao”.
Vi è mai capitato di parlare del famoso incontro dei Mondiali del 1982 tra Italia e Brasile?
“No, non particolarmente. Non ha mai digerito quella partita perché voleva vincere l’unica manifestazione che gli mancava. Però ricordo che quando abbiamo giocato insieme ad altri azzurri a un evento di beach soccer aveva chiesto ironicamente che fine avesse fatto la maglietta tirata e strappata da Gentile (ride ndr.)”.
Tra le tante partite disputate in carriera ce n’è una che rigiocherebbe?
“Sicuramente la finale di Coppa dei Campioni contro l’Ajax. C’era un’atmosfera incredibile a Belgrado, con tante bandiere bianconere. Credo che ci sia mancata l’esperienza per vincere quella partita. Eravamo reduci da una finale persa per differenza reti in Coppa delle Coppe l’anno precedente e anche nel 1973 contro quell’Ajax non ci fu niente da fare. Era uno spettacolo vederli giocare. Ho fatto tanti duelli con Krol. È stata la squadra che ha tracciato una linea. Credo che una formazione così completa non si sia mai vista. E poi c’era Johan Crujiff. Quando lui si accendeva, non c’era niente da fare. Apparteneva a quel gruppo di giocatori che ti fanno vincere le partite nel momento in cui la squadra è in difficoltà”.
Lei ha giocato con tanti campioni. Le piacerebbe duettare con Cristiano Ronaldo alla Juventus?
“Perché no? Causio a destra e Ronaldo a sinistra con in mezzo una punta con Higuain. Sarebbe un grande attacco. E con i miei cross CR7 si sarebbe trovato molto bene, segnando ancora di più”.
Che impressione le ha fatto finora la Juventus di Sarri. Si aspettava queste difficoltà?
“Vorrei la squadra con più grinta; per dirla in napoletano, serve ‘cazzimma’. Questa Juve deve imparare a chiudere la partite. Del resto è cambiata tanto. In mezzo al campo bisogna intervenire sul mercato. Anche perché il centrocampo migliore si è visto con Conte e Allegri fino alla finale di Berlino”.