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Il caso Chiesa e l'indegnità dei social

TORINO – Lorenzo ha sedici anni, gioca benino a pallone e fa parte delle giovanili della Fiorentina. E da un paio di giorni è vittima di un vile e indegno bombardamento di insulti, minacce e schifezze assortite che sono piovute sul suo profilo Instagram dai tifosi della Fiorentina. La sua colpa è quella di essere il fratello minore di Federico Chiesa, l’attaccante della nazionale italiana che lunedì è passato dalla Fiorentina alla Juventus. Il trasferimento non è, ovviamente, piaciuto alla tifoseria viola che aveva già dimostrato il suo dissenso con una serie di striscioni comparsi in città per insultare Chiesa e il padre Enrico (pure lui con un passato nella Fiorentina), poi se la sono presa con il fratello.

La lettura di quello che è comparso sulla sua pagina social è uno sprofondo di vigliaccheria morale, perché per insultare un ragazzo di sedici anni, minacciandolo di morte o invitandolo a lasciare la città insieme alla famiglia, bisogna essere dei pusillanimi con poco cervello e tanto tempo da perdere. Ma purtroppo quello che è successo a Lorenzo (che sta seriamente pensando di lasciare Firenze e la Fiorentina, perché la situazione potrebbe diventare insostenibile) è un caso tristemente diffuso. I social network ospitano vere e proprie fogne a cielo aperto dove scorrono parole e concetti indegni di qualsiasi comunità che voglia definirsi civile. Certo, i protagonisti del mondo del calcio (così come quelli della politica) potrebbero fare molto di più per evitare di fomentare tale e tanto squallore. Le parole del dg viola Daniele Pradè, che si è accomiatato da Chiesa con una serie di dichiarazioni che potevano essere formulate in modo diverso, conoscendo la situazione e potendo prevedere le conseguenze («Un amore non corrisposto non può mandare avanti una storia. Però sia a livello economico che sportivo per noi è stata un’operazione ottima, 60 milioni in un periodo così sono tanti. E sono felice che ci siamo tolti il peso di questa telenovela. Si parlava solo di questa situazione e non di campo e della squadra. La fascia da capitano con la Samp? Un errore. Commisso a livello affettivo si aspettava di più»). Al netto dei legittimi attriti fra giocatore e club, Pradè, che è uomo di calcio e dirigente avveduto, poteva evitare di esporlo all’odio sconsiderato delle frange più idiote del tifo (che esistono – ahinoi – ovunque), sapendo inoltre di avere il fratello, minorenne, nelle giovanili. O anche le parole del sindaco di Firenze Nardella che ha simpaticamente detto: «Per Chiesa ci sono rimasto male perché noi odiamo le maglie a strisce». E  la parola “odio” stride ancora di più, pronunciata da chi ha una carica istituzionale.

A questo punto, però, è urgente l’intervento del legislatore. Il dibattito sull’anonimato garantito dai social network è vecchio e , in sostanza, la filosofia dei pionieri di Internet si sente violata ogni volta che si parla di istituire norme che obblighino l’utilizzo di documenti e dati certificati per l’iscrizione e l’utilizzo dei social. Ma da quando Internet era un piccolo mondo per universitari sono cambiate troppe cose e accettare casi come quello di Lorenzo viola qualcosa di più importante dell’utopica libertà di pensiero garantita dall’anonimato. Più che altro perché di pensieri, sui social, ne circolano sempre meno.


Fonte: http://www.tuttosport.com/rss/calcio/serie-a


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