in

Julio Sergio: “Dal calcio alla finanza, nuova vita. Per il Lecce rifiutai il Psg”

Di Federico Mariani

Il giallo e il rosso sono i colori del suo destino. Dapprima la Roma, con la quale ha vinto due Coppe Italia e vissuto in prima persona la volata scudetto tanto epica quanto drammatica contro l’Inter del Triplete nel 2010. Poi l’avventura al Lecce, conclusa senza grandi risultati per colpa di un infortunio. Nonostante gli acciacchi abbiano condizionato la sua carriera, Julio Sergio Bertagnoli è entrato rapidamente nel cuore degli appassionati. Ci è riuscito con semplicità e simpatia fuori dal campo e con la forza di volontà di un vero guerriero tra i pali. Per l’ex portiere brasiliano la sfida giallorossa di domenica tra Roma e Lecce sarà dunque un piacevole tuffo nei ricordi.

Julio,  Roma-Lecce è indubbiamente la tua partita, almeno nel campionato italiano.

“Sono le squadre con cui ho fatto di più. A Roma sono arrivato con la maturità di chi ha 26 anni e da sconosciuto pian piano sono riuscito a diventare titolare per più di un anno. Il Lecce, invece, mi ha preso quando ero un portiere affermato in Italia perché avevo già 60-70 presenze in Serie A. Credo che questa sia stata la principale differenza. Poi le prestazioni sono un discorso a parte perché a Lecce non sono riuscito a mostrare le mie qualità”.

Sei incappato in un gravissimo infortunio al ginocchio durante la tua esperienza salentina. È stato un problema che ha inciso tanto?

“In generale credo che l’avventura a Lecce sia stata perlopiù un’occasione personale. Mi aspettavo qualcosa di diverso. Ho fatto due anni positivi. Quindi ho avuto la possibilità di andare a Parigi, ma non sono andato. Quindi mi ha chiamato il Lecce. Era una piazza che mi piaceva e in squadra aveva moltissimi grandi calciatori. Però io non sono riuscito a esprimere il mio calcio. I tanti infortuni e altri fattori mi hanno impedito di dare al Lecce il mio contributo”.

Dunque il giudizio sull’avventura leccese è positivo?

“È stata una delle esperienze più importanti della mia vita. Ho avuto infortuni gravissimi che mi hanno tolto gli allenamenti e la possibilità di giocare. Ma ci sono cose che i tifosi non vedono, ma sono importanti per le prestazioni. Ad esempio, mia figlia era appena nata in quel periodo. Come esperienza personale è stata molto positiva, una delle più belle della mia vita. Lecce è una città fantastica e mi sono fatto molti amici. Però calcisticamente avrei voluto fare di più. Non ci sono riuscito, ma non solo per colpa mia”.

Prima hai accennato all’ipotesi si trasferirti al Paris Saint-Germain. Ora prenderesti la stessa decisione?

“No, c’era un progetto particolare legato al Lecce che mi cercava come primo portiere perché ero un profilo già affidabile. Mi voleva Di Francesco. Era la situazione che doveva andare così. Non mi pento di niente. Il Paris Saint-Germain sarebbe stato un discorso diverso. Si trattava di un prestito e avrei fatto il secondo. Mia figlia era appena nata e non parlavo il francese. Forse, con la testa che ho adesso, avrei fatto una scelta diversa, ma in quel momento è stata la decisione migliore per la mia vita. Dobbiamo sempre pensare a ciò che si fa sul momento. Forse l’arricchimento personale che ho trovato a Lecce non ci sarebbe stato a Parigi. Non c’è solo il calcio, non ci sono solo i soldi. Ci sono anche cose che non hanno prezzo”.

In Italia si parla delle difficoltà di Daniele Padelli, secondo portiere all’Inter chiamato a rimpiazzare Samir Handanovic. Tu, invece, sei stato subito all’altezza del compito a cui eri stato chiamato. Come si può essere così maturi?

“Io avevo due grandissime qualità: la forza mentale e la capacità di reazione. Non sono mai stato un portiere spettacolare, ma ero molto veloce. Non ho un’altezza incredibile per essere un portiere, ma riuscivo a fare ottime cose anche perché mi allenavo molto. La mia testa era la mia principale qualità da calciatore perché più le situazioni erano difficili e più riuscivo a esprimermi al meglio. Questo per un portiere è fondamentale”.

Non hai mai pensato almeno una volta, dopo tanta fatica, di avercela finalmente fatta?

“Se un calciatore ha questo atteggiamento sicuramente calerà presto. Io volevo sfidarmi sempre, dare qualcosa in più alla squadra e a me stesso negli allenamenti e in partita, come nella mia vita personale. Ho fatto un provino per arrivare alla Roma. Poi tre anni in cui non ero nemmeno in panchina perché ero il terzo portiere. Volevo arrivare in alto. Quando sono arrivato alla Roma, volevo cambiare squadra rimanendo sullo stesso livello o vincere con i giallorossi. Sono sempre sceso in campo con questo atteggiamento”.


Fonte: http://www.gazzetta.it/rss/serie-a.xml


Tagcloud:

Buffon: “Non so quando smetterò. Corsa scudetto? La Lazio fa paura”

Rubinho: “Io, Tyson e le lacrime di Berlino. L'addio di Conte fu uno shock”