TORINO – La Juventus di Maurizio Sarri aveva un punto sulla Lazio quando il campionato è stato interrotto e in molti credevano che la squadra di Inzaghi avrebbe avuto molte possibilità di sorpasso nel finale. Dopo sette partite dalla ripresa post lockdown, il vantaggio è lievitato a sei punti (sull’Inter, sulla Lazio sono otto). E questè un fatto da cui non si dovrebbe prescindere per analizzare la situazione.
I calcoli
E’ vero che nelle ultime tre partite la Juventus ha disputato alcuni fra i peggiori stralci di gara degli ultimi tempi, facendosi dominare dagli avversari. Ma è anche vero che proprio il Milan, l’Atalanta e il Sassuolo sono le squadre più in forma del dopo-lockdown. C’è indubitabilmente un problema che si chiama blackout per la squadra bianconera, problema ricorrente fin dall’inizio della stagione. So possono citare, per esempio: il 3-0 3-3 con il Napoli (che poi perse per l’autogol di Koulibaly), il 2-2 con l’Atletico, il 2-1 contro il Verona e un qualche altro passaggio a vuoto qua e là. Ma la Juventus non ha mai avuto un periodo di crisi e ha tenuto un passo regolare che le ha consentito di essere, oggi, prima in classifica con un discreto margine. Il che dovrebbe essere il punto di partenza di ogni riflessione su Maurizio Sarri, allenatore che ha certamente commesso degli errori nella sua prima stagione in bianconero, ma ha anche ottenuto risultati. Fra questi: l’aver rigenerato Dybala, fatto crescere Bentancur, consolidato rapidamente l’ambientamento di De Ligt, aumentato la quota gol di Ronaldo.
L’immagine
Ma il problema di Sarri è essere giudicato non sulla base di parole, opere e omissioni, ma anche e soprattutto partendo da un pregiudizio nato dalla narrazione che ha creato il personaggio intorno all’allenatore durante il suo periodo napoletano. Sarri è diventato sinonimo di «bel gioco» sula scorta del brillante fraseggio della squadra azzurra che per due anni ha conteso lo scudetto alla Juventus fino all’ultimo. La stessa definizione di «sarrismo» è stato un macigno sulle spalle del tecnico che, non a caso, nel suo primo giorno juventino era stato inequivocabile: «Non vedrete quel calcio. La mia Juventus non giocherà come il mio Napoli». D’altra parte anche il suo Chelsea, vincitore dell’Europa League, giocava in un altro modo. Ma niente, in uno scenario vagamente pirandelliano, la critica e parte della tifoseria sta trascorrendo la stagione in attesa di vedere la «Juve sarrista» e ne lamenta puntigliosamente l’assenza a cadenza regolare.
Il bilancio
Nel frattempo Sarri ha guidato la Juventus in testa al campionato; ha vinto partite molto belle (le due con l’Inter, quella con la Roma, le ultime con lecce e Genoa), ci ha messo troppo a impostare la fase difensiva alta come vuole lui e non ha ancora ottenuto il risultato sperato (45 gol subiti in 46 partite sono tanti); ha quasi risolto il grande rompicapo calcistico della convivenza Ronaldo–Dybala; ha perso male la finale di Supercoppa ed è stato sfortunato in quella di Coppa Italia (comunque raggiunta). Insomma, ha fatto cose belle e cose brutte, che raramente sono state analizzate in modo asettico, ma spesso sono state frullate con l’immagine che si aveva di Sarri e l’aspettativa che si aveva di lui, quindi con (pre)concetti quali identità tattica, gioco bello, sarrismo…
I dirigenti
Il futuro di Sarri sarà deciso dai risultati: i dirigenti della Juventus sono poco inclini alla filosofia e più portati all’aritmetica. Alla Juventus si contano i punti, i gol e soprattutto i trofei, poi si tirano le somme, considerando – semmai – la gestione complessiva della rosa e dei campioni più rappresentativi. Sarri è un allenatore e va giudicato come allena e per i risultati che ottiene con il suo lavoro. Il resto è marginale: dal come si veste al cosa dice, passando per il suo passato da guru del gioco.