Ci sono almeno 90 milioni di buone ragioni perché i calciatori della Serie A imitino presto, senza se e senza ma, la decisione dei colleghi juventini. Questi, con una mossa senza precedenti nella storia del massimo torneo, hanno concordato con la società una riduzione degli ingaggi che genererà un risparmio di 90 milioni di euro sul bilancio di questa stagione. Sabato 28 marzo, Filippo Cornacchia e Guido Vaciago hanno anticipato su Tuttosport il sì di Cristiano Ronaldo e dei suoi compagni di squadra all’intesa che prevede la riduzione dei compensi per un importo pari alle mensilità di marzo, aprile, maggio e giugno 2020. «Qualora le competizioni sportive della stagione in corso riprendessero – così la Juve ha messo l’intesa nero su bianco – la società e i tesserati negozieranno in buona fede eventuali integrazioni dei compensi sulla base della ripresa e dell’effettiva conclusione delle stesse. La Juventus desidera ringraziare i calciatori e l’allenatore per il senso di responsabilità dimostrato in un frangente difficile per tutti».
Ecco, il senso di responsabilità di cui si fa interprete anche Cristiano Ronaldo, il quale rinuncerà a dieci dei trentuno milioni di salario annuo. Bella forza, obietterete: stiamo parlando del giocatore che divide con Messi il rango di calciatore più ricco del mondo. Eppure, se proprio dal gotha dei privilegiati arriva un segnale così concreto e così tangibile, è evidente che anche gli altri colleghi si debbano adeguare, comprendendo quanto il calcio non sia un mondo a parte, ma faccia parte di questo mondo alle prese con un’emergenza senza precedenti a tutti i livelli. Senza dimenticare che, dallo scoppio dell’emergenza in Portogallo, CR7 insieme con l’agente e amico Jorge Mendes abbia già donato 2 milioni di euro agli ospedali di Lisbona e di Porto.
I campioni d’Italia hanno indicato la strada ed è auspicabile che, senza perdere tempo, i coleghi si adeguino. Ed è altrettanto auspicabile che, prima di fare la predica al Sistema Calcio, qualcuno informi il ministro per lo Sport, Spadafora. Egli è lo stesso che domenica 8 marzo, 9 ore e 59 minuti dopo che il suo premier aveva firmato il decreto autorizzante le gare a porte chiuse, aveva inaugurato l’inverecondo balletto che precedette Parma-Spal e tutto quanto accadde in quell’indimenticabile pomeriggio. Ieri, a Repubblica, Spadafora ha dichiarato: «Le grandi società vivono in una bolla, al di sopra delle loro possibilità, a partire dagli stipendi milionari dei calciatori. Devono capire che niente dopo questa crisi potrà più essere come prima». Maddai? Non ce n’eravamo accorti. Epperò, Spadafora tenga bene a mente: 1) al calcio si appassionano circa 32 milioni di italiani; 2) il calcio dà lavoro a oltre 300 mila persone; 3) il calcio genera l’1% del Pil, 3 miliardi di euro di ricavi, 8 miliardi di euro d’indotto; 4) il calcio versa ogni anno 1 miliardo e 250 milioni di euro all’Erario e 130 milioni di euro a sostegno dei vivai e di altre discipline. I numeri schiacciano le parole. Il resto è fuffa.