«In questi due mesi e mezzo ho passato molto tempo sulla mia terrazza di Viareggio da cui vedo la passeggiata di Viareggio. Era impressionante non vedere neppure una persona dal porto fino al lido di Camaiore. Sembrava una città sotto coprifuoco in tempo di guerra. Ora sta ricominciando a vivere. Per carità, non c’è la folla di certe estati, ma un po’ di vita che brulica. Come il calcio, no?». Marcello Lippi sospira: «Speriamo non si inventino nulla adesso. Sono stati provocati già abbastanza danni, ora basta, è il momento di ricominciare a giocare, finire i campionati, tornare a far circolare anche questo pezzo di Italia, che oltretutto ha risvolti economici rilevanti».
A proposito, se lei fosse l’allenatore di una squadra che deve riprendere, come affronterebbe le difficoltà a cui vanno incontro i tecnici dopo una sosta così lunga e strana?
«Grande attenzione alla psicologia dei giocatori, perché bisogna riattivare l’agonismo e la capacità di focalizzarsi sull’obiettivo. E grande attenzione all’aspetto atletico perché, con tutta la buona volontà che un giocatore può metterci, gli esercizi a casa non possono essere considerati troppo allenanti. E farà la differenza chi ha una maggiore e collaudata organizzazione di gioco».
In che senso?
«Chi ha un gioco, inteso come una solida organizzazione tattica, fa certamente meno fatica di chi pratica un calcio improntato a una maggiore fisicità e aggressività, ma magari leggermente più estemporaneo. I primi hanno sempre un dispendio energetico minore rispetto ai secondi, per cui nelle condizioni in cui si dovrà concludere il campionato saranno avvantaggiati. Si gioca ogni tre giorni e con poco allenamento alle spalle».
Quindi come vede la Juventus di Sarri? Un gioco ce l’ha già o non ancora del tutto?
«Ce l’ha! Ce l’ha eccome. Sì, magari quando si è interrotta la stagione era in fase di completamento l’apprendimento, ma nella partita contro l’Inter, l’ultima disputata dalla Juventus, ho visto un gioco e un’organizzazione che torneranno utili a Sarri, che potrà ripartire proprio da lì. Certo, la Lazio non va sottovalutata. Quest’anno gioca benissimo, è gasata da quanto fatto finora e dallo scampato pericolo che il campionato venisse annullato, inoltre ha il capocannoniere. E’ un bella sfida e partono con chance analoghe».
Le piace l’idea delle cinque sostituzioni?
«Sì, nell’emergenza mi sembra una soluzione ottima, anche perché qualche infortunio in più ci sarà, un po’ come durante i mesi di preparazione. Finito questo periodo non so se terrei i cinque cambi, mi sembrano troppi e si corre il rischio che chi si può permettere intere rose di campioni possa esserne ulteriormente avvantaggiato. Cioè, le cinque sostituzioni amplierebbero ancora di più il divario fra grandi e piccole. Tornando alla situazione attuale, anche la questione di cambi riporta in primo piano l’organizzazione di gioco».
Perché?
«Perché se si ha un impianto consolidato in cui tutti sanno cosa fare, si colgono solo i vantaggi del poter cambiare anche quattro o cinque uomini a partita. Viceversa, senza un gioco, la sostituzione di un giocatore potrebbe indebolire la squadra costretta a farlo».
Secondo lei come hanno lavorato i giocatori in questo periodo?
«Come potevano. E assecondando la loro indole: quelli diligenti lo saranno stati anche a casa».
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