BERGAMO – La suoneria del suo cellulare è l’inno della Champions. Noblesse oblige: per un tifoso dell’Atalanta, è il massimo che c’è. Ci incontriamo in Piazza Vecchia, nel cuore di Città Alta, in una Bergamo che rinasce, giorno dopo giorno, anche se nessuno può né potrà mai dimenticare le 6 mila vittime del Covid, 672 dei quali nel solo capoluogo, il dolore, il pianto, la rabbia dei familiari degli scomparsi che sono andati più volte davanti al Tribunale per reclamare giustizia. E ci torneranno. Franco Locatelli vive da dieci anni a Roma, cioè al Bambin Gesù di cui è diventato un simbolo, ma ha conservato una casa qui e qui trascorre questi giorni a cavallo di Ferragosto, prima di rientrare nella capitale, dove avrà ancora molto da fare. Presidente del Consiglio superiore di Sanità, il massimo organo di consulenza del Ministero della Salute; membro del Cts, il comitato tecnico scientifico in prima linea nella lotta al Covid, Locatelli è diventato molto conosciuto da milioni di telespettatori, durante i mesi più tremendi della pandemia. Con l’aplomb del luminare, impermeabile alle emozioni negative, il tono chiaro ed esplicativo, il lessico forbito e mai affettato (memorabile il suo dire e ridire scotomizzare, ovvero eliminare inconsciamente dalla memoria eventi o ricordi spiacevoli), Locatelli affiancava spesso in diretta tv Angelo Borrelli, capo della Protezione Civile, nelle angoscianti conferenze stampa che alle sei della sera tracciavano il bilancio quotidiano delle vittime, dei contagiati, dei ricoverati nelle terapie intensive. C’è un tempo per tutto. L’emergenza non è finita per nulla, le cronache di queste ore ce lo ricordano senza tregua. Ma primum vivere, prima si pensi al vivere e a convivere con il virus che ha allentato la morsa, ma non la presa.
IL SOPRAVVISSUTO – Per questo, il signore che il Covid ha imparato a combattere e a conoscere, oggi ha lo sguardo sospeso fra Bergamo e Lisbona, mentre l’ascoltano i gemelli Giacomo e Riccardo Conti, affermati commercialisti. Loro lo chiamano indifferentemente Francuzzo o il Prof. Erano compagni di banco alle medie di Lovere, lago d’Iseo, sponda bergamasca. Riccardo è sopravvissuto al Covid: «Ho visto la morte in faccia. Se non ci fossero stati i medici e gli infermieri della Poliambulanza di Brescia, non ce l’avrei mai fatta. Il mio compagno di stanza è spirato alle due di notte, accanto a me. Prego per lui». Riccardo è interista, come Giacomo. Anche il Prof è nerazzurro, ma il nerazzurro di Bergamo. «Mi auguro che stasera, nemmeno di fronte al colosso Psg, l’Atalanta rinunci allo stile di gioco che l’ha resa unica. Il risultato sarà quel che sarà, ma, a me basta e avanza questo. I francesi devono saperlo: l’Atalanta andrà in campo con una forza interiore speciale, molto speciale. Giocherà per Bergamo, per i bergamaschi che ci sono e per quelli che non ci sono più. I calciatori di Gasperini hanno vissuto un dramma unico al mondo, hanno sentito il suono lacerante delle sirene nella notte, hanno visto le bare, hanno sentito la morte scendere sulla città, sui paesi. Sotto l’aspetto motivazionale, tutto questo darà loro una spinta enorme per inseguire un risultato che non rimarginerà il dolore, ma potrà essere l’unguento su una ferita ancora sanguinante. L’Atalanta incarna la resilienza di Bergamo». La Champions, la finale a otto a porte chiuse dopo la ripartenza di A e B a porte chiuse. Sino a quando il pubblico non potrà rientrare negli stadi, professore? «Il problema fondamentale non è il distanziamento all’interno dello stadio, ma evitare gli assembramenti in entrata e in uscita. Il 22 settembre, alla ripresa del campionato, probabilmente saremo ancora nelle stesse condizioni dell’ultimo app na concluso, con le gare a porte chiuse. A seconda dell’evoluzione della curva epidemiologica, si potranno fare altre riflessioni…». Perché non ne siamo ancora fuori, vero?
GLI ALPINI E GLI ULTRA’ – «Proprio così: Italia non è fuori dalla pandemia. Il nemico è infido, durissimo, minaccioso. E’ assolutamente fondamentale mantenere tutte le misure che ci hanno consentito di uscire dalla fase più critica, più drammatica, connotata da così tante morti che artigliavano le nostre coscienze. Bisogna avere la chiara percezione che, solamente grazie a comportamenti individuali responsabili continueremo ad avere una situazione così favorevole rispetto ad altri Paesi europei. Sono un grande appassionato di calcio, ma la priorità va data alla salute pubblica, alla tutela delle persone più fragili».
I CAMION DELL’ESERCITO – Professore, che cosa le è rimasto dentro di questi mesi? «L’esperienza è stata unica, inimmaginabile. Ciò che è rimasto? Le immagini di dolore, incancellabili: le bare sui camion militari che lasciano il cimitero di Bergamo rimaranno scolpite nella mia memoria finchè vivrò. Ma dentro di me conservo la straordinaria capacità di resilienza del nostro Paese: dal sistema sanitario al volontariato (l’ospedale della Fiera di Bergamo operativo in dieci giorni grazie agli alpini, agli artigiani, ai ragazzi della Curva Nord Atalanta) a tanti colleghi che ho conosciuto e apprezzato nel Cts. Faccio due nomi: Luca Richeldi, pneumologo del Policlinico Gemelli e Beppe Ippolito, straordinariamente appassionato nel cercare le risposte più autorevoli e più appropriate all’emergenza».
LE MASCHERINE – Professore, Belgio, Francia, Spagna, Serbia, Croazia sono state investite dalla seconda ondata. Scientificamente parlando, che tipo di scenario si potrebbe prefigurare per l’Italia? «Se ci sarà una seconda ondata e quando sarà nessuno di noi può dirlo. Saranno determinanti i comportamenti individuali. Un fatto è certo: il Paese sarà più pronto a un’eventuale, nuova emergenza. Quando tutto è cominciato, non avevamo indipendenza nella produzione di mascherine: oggi, grazie soprattutto al lavoro del commissario Arcuri, l’Italia può produrre più di 30 milioni di mascherine al giorno; i posti letto nelle terapie intensive sono quasi raddoppiati; abbiamo imparato a proteggere gli anziani di più e meglio. Ora è importante, è fondamentale che tutti noi ci mettiamo in testa i punti cardine del distanziamento interpersonale, dell’uso delle mascherine, del lavaggio delle mani. Questi sono gli strumenti imprescindibili per convivere con il Covid, sino a quando non ci sarà un vaccino». E qui, Locatelli scandisce ancora più stentoreamente le parole.
«VACCINIAMOCI TUTTI» – «Quando il vaccino ci sarà, questo Paese dovrà essere permeato da una cultura della sensibilità alle vaccinazioni e non da un rifiuto pregiudiziale delle stesse. Solo con il vaccino potremo raggiungere l’auspicata immunità di gregge ed eradicare anche questa malattia, così come tante altre malattie virali sono state eradicate grazie al vaccino: vaiolo e poliomielite su tutte».
DOCUMENTI DESECRETATI – In questi giorni si parla molto dei documenti del CT desecretati su richiesta della Fondazione Einaudi. Si discute animatamente sulla tempistica delle mancate chiusure a blocchi, in particolare di Alzano e Nembro, paesi martiri del Covid, prima del confinamento nazionale deciso dal governo. A suo avviso, professore, la procedura seguita è stata quella giusta? «Non entro in troppi dettagli perché c’è un’inchiesta in corso e il lavoro dei magistrati si rispetta sempre. Dico chiaramente che né il Cts né chi era deputato a decidere politicamente hanno sottovalutato nulla e hanno perso giorni preziosi. Lo dico in assoluta serenità. Chiudere tutto il Paese è stata la scelta che ha protetto l’Italia Centrale, Meridionale e Insulare. Se l’ondata epidemica si fosse diffusa in queste aree, sarebbe stata una catastrofe e certamente il sistema sanitario nazionale non avrebbe retto».