Il 2006, l’incidente, la pizzeria
Giro
Dario Silva. Un uomo capace di guardare il bicchiere mezzo pieno, sempre e comunque. Nel 1995 ha lasciato l’Uruguay per Cagliari, dove la gente lo ha accolto come un figlio. Il Trap è stato il suo mentore, la Sardegna una grande madre che Dario Silva non avrebbe mai voluto lasciare proprio come fece Gigi Riva. Nel 1998 l’ex attaccante si è lasciato l’Italia alle spalle ed è sbarcato in Spagna, dove si è affermato al fianco di giocatori già sulla cresta dell’onda e di giovani pronti a spiccare il volo: all’Espanyol con Eto’o e Pochettino, al Malaga con Dely Valdes, al Siviglia con Dani Alves e un giovanissimo Sergio Ramos che Dario Silva ha preso per mano e portato sulla retta via. Il 2006 è stato l’anno del suo addio al calcio, a suo padre e alla vita di sempre: a settembre l’ex attaccante ha perso parte della gamba destra dopo un incidente d’auto. Quel giorno è cominciata la sua nuova vita che lo ha portato a Malaga, dove oggi lavora tra i tavoli di una pizzeria.
Dario Silva, lei oggi vive a Malaga e gestisce una pizzeria italiana: le piace la sua nuova vita?
Sono azionista del locale e faccio parte del gruppo che lo gestisce: faccio di tutto. Non gestisco solo il locale, ma sono anche in sala a contatto coi clienti. Mi piace la mia nuova vita: è diversa da quella che facevo prima, qui vengono sempre tanti giocatori e siamo vicini al mondo del calcio. Volevo far sapere alla gente dove ero finito. Per me è stato bello tutto quello che ho fatto da calciatore.
Lei è uruguaiano, ma vive a Malaga: è la sua città adottiva?
Assolutamente sì: qui sto bene e posso portare avanti le mie attività. Mi piace stare a Malaga anche perché c’è il mare. Qui c’è tutto quello di cui ho bisogno, non mi serve altro.
Il coronavirus ha colpito duramente la Spagna: com’è la situazione lì?
All’inizio Malaga è stata una delle città con più morti al mondo: ho seguito le notizie giorno per giorno, era un casino… Adesso la situazione è migliorata, ma dobbiamo capire se l’emergenza andrà ancora avanti. Più o meno tra un mese tutti saremo al lavoro. La vita ricomincerà.
La vostra pizzeria è chiusa in questo momento?
Sì, siamo chiusi. Qui sono aperti soltanto i negozi che vendono beni di prima necessità. Lavorano anche le persone nel trasporto delle merci. Vediamo che cosa si potrà fare di nuovo con tranquillità.
Il 2006 è un anno difficile per lei?
Sì, ma i miei genitori mi hanno insegnato che nella vita bisogna sempre guardare avanti e superare gli ostacoli che incontriamo. Ho smesso nel 2005-06: a ottobre avevo firmato col Portsmouth in Inghilterra, a gennaio sono andato a giocare con l’Uruguay e ho visto i miei genitori. Mio padre mi ha annunciato che non gli restava molto tempo da vivere così sono tornato al Portsmouth e ho comunicato alla società che desideravo trascorrere con lui gli ultimi giorni della sua vita. Poi sono tornato in Uruguay: il 12 aprile 2006 purtroppo mio padre è morto.
Qualche mese dopo lei ha avuto un brutto incidente d’auto e ha perso parte della gamba destra…
Sì, mi é capitato questo incidente e mi sono fatto male. Per fortuna non ho ferito nessun altro e sono stato il solo a subirne le conseguenze.
Come è stato dover affrontare l’invalidità? Ci ha messo un po’?
Quando sono andato dall’ortopedico mi hanno fatto una protesi: me la sono messa e sono uscito. Il dottore mi ha detto che non aveva mai visto una cosa simile: non riusciva a spiegarsi come fosse possibile che riuscissi già a camminare. Secondo lui ripartire sarebbe stato difficile, ma io sono uscito perché volevo andarmene dall’ospedale. Quel giorno ho provato grande gioia: mi sembrava strano camminare di nuovo.
È stato ricoverato in ospedale per molti giorni?
Non mi ricordo bene per quanti giorni sono stato ricoverato. Mi sono tolto dalle scatole appena sono stato in grado di farlo: stare lì dentro mi faceva innervosire. L’odore di qualsiasi ospedale mi fa venire mal di testa. Tutti i giorni mi somministravano pastiglie per dormire che però non mi facevano effetto: avevo un gran mal di testa. Un giorno sono scappato: sono uscito da lì con le stampelle insieme ai miei amici.
Qualche anno dopo lei ha giocato qualche partita di beneficenza…
Sì, nel 2009 ho partecipato alla sfida delle stelle sudamericane tra Uruguay e Argentina: l’ho fatto per le persone che avevano bisogno, volevo dimostrargli che tutto è possibile.
Dopo l’infortunio alla gamba, lei è stato anche tradito dai suoi agenti: è vero?
Sì, queste cose mi hanno segnato molto perché secondo me i soldi non fanno la felicità. Non mi hanno dato il 20% che mi spettava, non l’ho mai messo sul mio conto in banca: mi hanno fregato. Purtroppo queste persone si sono prese gioco di me, nei prossimi mesi però le cose cambieranno perché la giustizia ha capito ciò che le ho fatto capire.