Trentasette anni fa il Torino scrisse una delle sue più emozionanti pagine di storia grazie alle reti di Dossena, Bonesso e Torrisi. Ricordiamo quel giorno proprio insieme ad Alessandro Loris Bonesso, autore della rete del provvisorio pareggio, un ragazzo del Filadelfia rimasto attaccatissimo al mondo granata seppur da lontano (oggi vive nel Riminese e fa l’allenatore dell’Under 16 del Rimini).
Loris, a trentasette anni di distanza lei è sempre un eroe per la gente granata.
“Le emozioni le assaporiamo ancora, a distanza di tempo. Quando vado in giro per l’Italia, i tifosi granata ancora mi fermano ringraziandomi. Quel giorno per me ha avuto un significato particolare dovuto al fatto che sono cresciuto al Filadelfia, nel settore giovanile granata. Arrivai al Toro nel 1976 ed ero in campo da raccattapalle il 16 maggio quando il Toro vinse lo Scudetto. Quindi pensate che soddisfazione sia stata anche solo esordire in prima squadra tre anni dopo, grazie a Gigi Radice, a diciassette anni. Nonostante contro la Juventus avessi già segnato l’anno precedente, quando fui capocannoniere granata con otto reti, quel gol nel derby il 27 marzo del 1983 fu l’apice. Non avevo ancora ventidue anni, è stata la realizzazione di un sogno”.
Forza di volontà e compattezza: due doti che avete messo in campo quel giorno al “Comunale” e che servono anche oggi all’Italia per superare questa emergenza sanitaria.
“Il calcio ne ha portati tanti di esempi simili che possono essere d’ispirazione oggi per tutti noi. Io abito a Santarcangelo di Romagna, vicino a Rimini; nella nostra zona il virus si è diffuso parecchio e si è fatto sentire soprattutto nella provincia marchigiana di Pesaro che è attaccata alla nostra. Dobbiamo capire che la vita è bella anche quando sembra brutta e che con l’unione di tutti possiamo superare questo momento”.
Tornando a quel derby, quale fu secondo lei il fattore decisivo che scatenò la rimonta?
“Guardi, penso sia stato decisivo il fatto che tanti di noi siano cresciuti calcisticamente nel vivaio del Torino; eravamo giocatori educati da persone come l’avvocato Sergio Cozzolino e Oberdan Ussello. Per noi batterci e giocare fino alla fine era una cosa normale. Diciamo che a forgiarci è stato il Filadelfia come giocatori e come persone”.
Oggi – o almeno, prima che il calcio si fermasse per il coronavirus – Moreno Longo è tornato a riaprire il Filadelfia con continuità ai tifosi. Giusto così?
“Certo, mi ha fatto piacere. Longo è di una generazione successiva alla nostra ma anche lui è cresciuto al Filadelfia e sa cosa voleva dire quel luogo. La vicinanza coi tifosi ci stimolava e ci motivava; uscendo dal campo c’erano quei tifosi anziani che ci avvicinavano e che ci davano consigli, avendo visto giocare il Grande Torino, che noi tenevamo ben presente. Ricordo bene che si fermavano a parlare anche giocatori affermati come Pecci, Pulici, insomma, i grandi dello Scudetto 1976. A maggior ragione lo facevamo noi giovani. In questo modo i tifosi ci trasmettevano le loro sensazioni e le loro emozioni”.
Oggi i tempi sono cambiati…
“Certo, e me ne rendo perfettamente conto, alcune cose non sono più replicabili, però il contatto che c’era tra giocatori e tifosi era una cosa bella; i calciatori in questo modo avevano il polso di quello che la gente chiedeva loro. Oggi, invece, appena usciti dal Filadelfia anche i ragazzi più giovani parlano solo coi procuratori. Chiaro che quando ricordiamo i momenti in cui eravamo giovani noi c’è sempre un elemento nostalgico, però per certi versi lasciatemi dire che quei tempi erano migliori”.