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Zanetti: “Allenare? Non più, colpa del mio carattere. E su quell'incubo del 5 maggio…”

Perché Cristiano non allena più

(Photo by Mark Dadswell/Getty Images)

Una vita sul confine. Cristiano Zanetti è cresciuto a Massa tra Toscana e Liguria ed è diventato uomo al centro del campo tra difesa e attacco. Per lui stare in mezzo è stato destino ma anche una scelta dettata da una predisposizione naturale che nel tempo gli ha riservato gioie e dolori. Da calciatore ha vinto uno Scudetto con la Roma e ne ha perso uno con l’Inter all’Olimpico il 5 maggio 2002. Da allenatore ha vissuto un inizio spumeggiante tra settori giovanili e categorie minori, sul più bello però non è arrivata la chiamata che gli permettesse di svoltare. A 43 anni Zanetti si racconta con schiettezza, facendo anche mea culpa, ma non depone le armi. Per un combattente come lui, lottare è l’unica cosa che conta: la ‘guerra’ non è finita, c’è sempre un’altra battaglia da vincere e un nuovo sogno da andarsi a prendere.

Cristiano, dopo il calcio ha scelto di fare l’allenatore: come è andato questo percorso?
Era iniziato bene. Ho fatto due anni nel settore giovanile, il primo al Pisa con Birindelli e il secondo al Prato, e due anni coi grandi, uno in Eccellenza e uno in Serie D, ma le occasioni importanti non sono arrivate e ho scelto di smettere. Per quattro anni ho fatto sacrifici, ho messo da parte tante cose perché fare l’allenatore ti prende 24 ore su 24, non è come fare il calciatore. Ho scelto di smettere quando ho capito che non mi stavo togliendo quelle soddisfazioni che mi sarei voluto togliere. Avrei voluto allenare i professionisti, in C o in B, ma le occasioni non sono arrivate. Forse non piaceva come allenavo. È inutile andare dietro a qualcosa che non si realizza. Poi ci sono migliaia di allenatori: quando hanno smesso Mancini e Mihajlovic era più facile cominciare, oggi c’è una concorrenza spietata. È un bel mestiere ma bisogna imboccare subito la strada giusta, se parti troppo dal basso arrivare in alto diventa impossibile.

Per allenare ad alti livelli serve la spinta di qualcuno? Pirlo ad esempio è stato voluto fortemente da Agnelli alla Juve…
Succede quando hai lasciato un bel ricordo all’interno di un club. Tante cose portano una società a fare certe scelte. Andrea si merita tutto quello che ha perché da calciatore è stato fenomenale. Non provo invidia nei confronti di chi è riuscito a fare l’allenatore. Io non ho mai avuto l’occasione di farlo ad alti livelli, ma non so nemmeno se sarei stato in grado di farlo. Credo che sia stata soprattutto colpa del mio carattere, forse c’era qualcosa in me che non andava bene. Le mie squadre avevano ottenuto anche buoni risultati: sono arrivato secondo in Eccellenza col Pietrasanta e nel gennaio 2018 ho lasciato la Massese in D in zona playoff, ma quando non si ragiona tutti allo stesso modo è difficile andare avanti. Da giocatore non le mandavo a dire nello spogliatoio. Forse da allenatore sarei dovuto essere un po’ più diplomatico, forse non basta esprimere una buona idea di calcio e un buon gioco, forse devi avere un lato caratteriale particolare per gestire determinate situazioni.

Mandatory Credit: Grazia Neri/ALLSPORT

Le piace il calcio di oggi? È diverso da quello in cui giocava lei?
È sempre il solito calcio alla fine: Gasperini fa lo stesso gioco che faceva quando io ero in campo, adesso sta ottenendo risultati. Forse c’è più possesso palla, ma secondo me alcuni allenatori lo esasperano e per questo motivo le loro squadre non rendono come dovrebbero. Non possono essere allenati tutti allo stesso modo, non possono fare possesso palla tutte e venti le squadre di Serie A. Se una neopromossa, ad esempio il Lecce lo scorso anno, prova a fare lo stesso gioco della Juve, del Milan, dell’Inter o della Roma poi perde perché le qualità dei giocatori sono differenti. Difficile pensare che tutti possano giocare partendo da dietro, basta perdere un pallone e gli avversari ti fanno gol. Ognuno deve fare il suo calcio.

Lei ha giocato in grandi squadre: a quale club è rimasto più legato?
Ho giocato all’Inter e alla Juve, alla Roma e alla Fiorentina. Sono stato bene da tutte le parti, non ho nessun rimpianto. Quando stavo bene giocavo, quando stavo così e così giocavo lo stesso, quando non stavo bene le società cercavano di recuperarmi il prima possibile e per questa ragione ho avuto spesso ricadute peggiori dei miei infortuni. Oggi vedo giocatori restare fermi per 2-3 settimane per un infortunio, io invece rientravo subito. Giocavamo a grandi ritmi, c’erano sempre tanti campioni da affrontare in tutte le partite, ogni gara era una battaglia, in questo senso era un calcio diverso.


Fonte: http://www.gazzetta.it/rss/serie-a.xml


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