“Ma non scherziamo. Piuttosto lo è lo Spezia nel suo insieme: qualcosa di nuovo che stupisce. Tutti ci davano già per spacciati e invece le nostre prestazioni e i nostri risultati destano stupore. Ma non sono certo io il protagonista assoluto: lo sono i ragazzi che lavorano per tutta la settimana con dedizione, applicazione, entusiasmo. E con loro tutti i componenti dello staff”.
Perfetto. Ma intanto lei ha già un procuratore? Perché altrimenti è ora di cominciare a cercarlo: ci sono club di prima fascia interessati a lei…
“Mah (risponde con un filo di imbarazzo, nda), proprio un procuratore no. Ma è logico che quando si stilano i contratti sia necessaria la competenza di qualcuno esperto, di un avvocato di fiducia. Quanto al mio futuro professionale, sinceramente non sono ancora stato contattato da nessuno. Ma non nego che gli attestatati di stima siano piacevoli e neppure nascondo che questo mestiere lo si fa anche per ambizione. Ma ora io ho in testa solo la salvezza dello Spezia”.
C’è sempre l’annosa questione, riguardo ai tecnici emergenti, relativa alla loro capacità di trasmettere certi concetti di gioco anche nelle grandi squadre. Dicono: un conto far correre e combattere i giocatori – giovani o motivati dalla necessità di dimostrare che in A ci “possono stare” – altro riuscirci con i campioni arrivati. E a sostegno della tesi, si porta l’esempio di tutti quelli che ci hanno sbattuto la testa: lei se la fascia prima o le piacerebbe provarci?
“La difficoltà è sempre la stessa in ogni categoria: creare empatia con i giocatori e convincerli che le proprie idee sono funzionali al gruppo e alle caratteristiche dei giocatori stessi. Tocca all’allenatore saper scegliere l’approccio giusto: hai a che fare con professionisti che, loro per primi, sanno bene che anche a loro conviene avere successo. Fin da ragazzo, del resto, ho visto squadre formate da campioni che vincevano in conseguenza di una idea tattica molto forte e caratterizzante proposta dall’allenatore. Bisogna rendersi credibili: se c’è questo, c’è rispetto e condivisione”.
Quali sono le squadre che più di tutte le hanno evocato questa sensazione?
“Sono stato folgorato dal Milan di Sacchi: quella squadra che batteva il Real 5-0, che stravinse la finale con la Steaua. Che dominava in Europa grazie a dei campioni che seguivano i dettami dell’allenatore: si ricorda quanto correvano? Poi, certo, non bastava solo quello, ma l’impronta era evidente. E poi il Barcellona di Guardiola, il Napoli di Sarri e le squadre di Zeman quando erano al loro massimo. E mi aveva impressionato anche la Juve del triennio di Conte: aggressività e organizzazione straordinarie. Come vede, tutte squadre composte da grandi campioni eppure caratterizzate in maniera indelebile dalle idee dell’allenatore”.
Venerdì, invece, sfiderà per la prima volta Cesare Prandelli, colui a cui ha sempre espresso riconoscenza e stima e che ora sopravanza addirittura in classifica: sensazioni?
“Ah… Sarà davvero troppo emozionante. A lui devo molto, quasi tutto: è stato il primo in assoluto a darmi fiducia e a schierarmi dall’inizio. Con quel Verona, nel ‘98/99, fummo promossi in Serie A e l’anno successivo ci salvammo giocando davvero un bel calcio… Sì: assomigliavamo a questo Spezia. Non vedo l’ora di riabbracciarlo”.
Del suo Spezia la preoccupa di più l’eccesso di entusiasmo dopo un’impresa o il rischio depressione dopo un brutto ko?
“Abbiamo attraversato entrambi questi momenti e finora li abbiamo metabolizzati molto bene. Sappiamo che possiamo perdere o vincere con chiunque e non ci facciamo condizionare. Gli alti bassi, del resto, li hanno tutti, a cominciare dalle big come la Juve. Non dobbiamo dimenticare che questa è una stagione davvero strana e sono sempre più convinto che l’assenza di pubblico condizioni davvero tanto, nel bene come nel male. Ma noi siamo consapevoli del nostro percorso”.
La sensazione è che lo Spezia sia un gruppo di lavoro molto compatto anche al di fuori del campo e il fatto che la cessione del club non abbia determinato disagi sembra confermarlo: è così?
“È esatto. Ogni elemento della società sa che dal proprio lavoro dipende un pezzo del successo. Anche il magazziniere, per esempio, sa che non può sbagliare la scelta dei tacchetti perché magari un difensore scivola e prendi gol. Con il ds Mauro Meluso, poi, si è instaurata un’intesa umana forte e sincera. Coinvolgiamo tutti nel lavoro. Ha presente il discorso che fece Guardiola ai dipendenti dopo aver vinto la Premier con il City? Ecco: la filosofia di condivisone è quella”.
A proposito di Guardiola: lei preferisce la motivazione in stile Mourinho oppure un approccio più “morbido”?
“Ci deve essere il giusto mix: bisogna capire quando è il momento di coinvolgere il gruppo e quando invece è necessario ‘gestire’ il singolo. Di sicuro quel che mi preme è far capire ai miei ragazzi che non devono mai commettere l’errore di adagiarsi o di pensare che il loro tempo sia infinito. Quando hai 20 anni ti puoi illudere che sia così, invece la bandiera a scacchi del traguardo arriva prima che tu te ne renda conto e guai se ti porti dietro i rimpianti. Ogni allenamento, ogni istante devono essere sfruttati per migliorarsi e loro (sorride, ndr) temono perfino che gli parli di calcio se li incontro a cena… La verità è che facciamo il mestiere che sognavamo da bambini: è un delitto non sfruttare al massimo il tempo che abbiamo a disposizione. Questo, davvero, voglio inculcare ai miei giocatori: il resto arriva di conseguenza, glielo assicuro”.
E lei? Cosa fa nel tempo in cui non allena?
“Ah, ne resta davvero ben poco… Quando facevo il calciatore c’era qualche spazio in più perché, finito l’allenamento, il problema era di qualcun altro. Ma ora (sorride ancora, ndr) quel ‘qualcun altro’ sono io e il calcio è una ragione di vita. Poi, certo: mi rilassa leggere e fare pesca subacquea, ma solo d’estate in Sicilia. Il resto è calcio: è un mondo che va veloce, ti richiede continuo aggiornamento e non ti perdona se molli di un passo”.
Ha già deciso qualcosa di particolare in caso di salvezza dello Spezia?
“Sì, e i tifosi me lo ricordano ogni volta che mi incontrano: andrò a piedi da La Spezia a Portovenere. Sono una ventina di chilometri che diventerebbero una processione pazzesca con migliaia di persone al seguito. Sarebbe splendido e anche per questo non spreco un secondo del mio tempo: non voglio negare quell’emozione a questa gente. Già si è dovuta rassegnare a non godersi la prima volta in Serie A allo stadio, almeno si merita il regalo finale. Daremo tutto…”.