Le parole di De Laurentiis
Inizia a essere chiaro a molti che non possa più funzionare il sistema progettato dall’Uefa negli ultimi anni, con l’introduzione della terza competizione, la Conference League, e della riformina Champions da far partire nel 2024 (quella con la classifica unica e i gironi da 8 squadre). E non è un caso che il presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis, prima di Leicester-Napoli di Europa League, gara che evidentemente non soddisfaceva i suoi appetiti commerciali, se ne sia uscito con un’idea assai vicina a quella della vituperata Super League. Nel calcio martoriato dal Covid, squarciato da profonde disuguaglianze economiche e da clamorose (e impunite) violazioni di regole finanziarie, c’è chi si interroga se questo è il migliore dei mondi possibili. E la risposta è sempre più spesso un “no“. Perché al netto delle gravi problematiche economiche, alla base delle quali può esserci anche una cattiva gestione dei club in crisi, ciò che lascia maggiormente perplessi è la confusione, sempre più sovrana al governo del calcio.
Pasticcio convocazioni
Uno dei tanti esempi è tanto fresco quanto surreale. Nell’ultima pausa internazionale è sorto il “problema sudamericano“: da una parte l’aggiunta di una partita nelle qualificazioni rendeva impossibile il ritorno dei giocatori, in tempo per giocare nei rispettivi campionati (ne sa qualcosa la Juventus che a Napoli ha fatto a meno di cinque sudamericani), dall’altra c’era il problema delle quarantene al rientro in certi Paesi che avrebbe reso inutilizzabili i giocatori per almeno 7 giorni. Così Liverpool, Chelsea, Manchester City e United hanno trattenuto Thiago Silva, Fred, Roberto Firmino, Fabinho e Alisson, Ederson e Gabriel Jesus e Raphinha. Così, di loro iniziativa. I giocatori, da regolamento Fifa, sono stati squalificati. Poi, da inciucio internazionale, perdonati. Ovvero, è stata condonata una squalifica per quello che, a livello Fifa, è sempre stata considerata una delle violazioni più gravi: la mancata risposta a una convocazione in Nazionale. Così si è consumata una profonda ingiustizia verso i club che, rimettendoci, avevano regolarmente concesso i propri giocatori alle nazionali sudamericane. E quando nei regolamenti, un tempo impenetrabili, si aprono dei buchi significa che c’è qualcosa che scricchiola nel palazzo del governo.
Fifa contro Uefa
Nel frattempo, su un altro palcoscenico, si combatte la battaglia del Mondiale ogni due anni: il progetto della Fifa di Infantino che la Uefa di Ceferin osteggia in modo viruelento. E’ solo l’ultima delle battaglia fra l’organismo mondiale e quello europeo, che in teoria dovrebbe stare sotto, ma in pratica sta sullo stesso piano, perché il calcio europeo conta infinitamente più degli altri: ecco perché il potere delle due poltrone, Fifa e Uefa, è spesso considerato uguale o simile. Infantino ha cercato, negli ultimi anni, di mettere le mani sui club, una miniera d’oro per qualsiasi competizione visto ciò che muovono in termini di pubblico e di denaro. Il suo progetto di Mondiale per club (una specie di Superlega globale) se sta lì, appeso e minaccioso sulla testa di Ceferin e della sua Champions League; mentre la recente proposta del Mondiale biennale rischia di spazzare via l’Europeo. Ora, senza entrare nel merito di chi abbia ragione (se mai ce ne sia una), questo scenario evidenzia quali caotiche situazioni vivono i governi del calcio, quello mondiale e quello europeo. Litigano, mentre più del 50% dei club europei deve ricorrere a ricapitalizzazioni di vario genere e molti rischiano il collasso (non solo i grandi, ma anche le realtà medie e piccole meno illuminate dai fari dei media). Litigano senza essere stati in grado di portare intorno a un tavolo i club e i giocatori per ridiscutere i contratti a livello mondiale, garantendo così ai calciatori di essere l’unica categoria a non aver subito un centesimo di danno dalla crisi del Covid, che nel frattempo ha bruciato 8 miliardi solo nel calcio europeo. Litigano mentre un calendario assurdo ingorga i palinsesti di partite, spesso brutte, spesso inutili.
Riforme urgenti
Quanto può durare una situazione del genere? Il calcio viaggia sul ciglio del burrone e, senza un governo che provi a risolvere i problemi più urgenti, rischia di cascarci dentro. La risposta a tutto questo è la Super League? No. Ma una riforma profonda delle competizioni europee, una revisione del calendario e l’armonizzazione fra gli impegni dei club e quelli delle nazionali è quanto mai urgente. Fra le pieghe della Super League, progetto mai veramente spiegato, c’era – per esempio – un regolamento finanziario che introduceva meccanismi per tenere sotto controllo gli ingaggi, in modo chiaro e meno cervellotico del Financial FairPlay (che nessuno ha mai realmente capito e che ha funzionato in modo poco uniforme). Così come la creazione di una torneo che rendesse ogni partita interessante, anche a costo di diminuirne il numero è un altro aspetto della Super League che stuzzica molti club, impantanati nell’attuale calendario. Prendere ciò che di buono aveva quel progetto e colmarne le pecche sarebbe il primo passo di una mediazione che porti alla necessaria riforma del calcio. Una mediazione alla quale stanno pensando (e in certi casi cercando di realizzare) sempre più persone, sia in seno all’Uefa che nei club europei.
La spada della Corte
Anche perché, altrimenti, le riforme rischiano di essere imposte dall’alto. Al massimo entro due anni, ma potrebbero essere anche solo dodici mesi, la Corte Europea si pronuncerà sulla questione Uefa e sull’ipotesi che questa operi in regime di monopolio, abusando della sua posizione. Il quesito posto dalla Super League non deve necessariamente portare all’autorizzazione della stessa: per rivoluzionare il calcio basterebbe imporre all’Uefa i cambiamenti necessari per armonizzarsi con le regole dell’Unione Europea sulla concorrenza. una decisione che si tradurrebbe comunque in un ribaltone micidiale per l’Uefa. Un vecchio proverbio cinese recita: «Cambia tu prima che ti cambino gli altri». Chissà se a Nyon lo conoscono.