TORINO – Era uscito come un coniglio dal cappello, in una estate che aveva (avrebbe dovuto) portare in dote uno tra Arkadiusz Milik, Edin Dzeko o Luis Suarez. Alla fine era spuntato lui. Meglio: rispuntato. Perché alla Juventus conoscevano bene Alvaro Morata, andando infine sicuri nella scelta del centravanti. Due stagioni dal 2014 al 2016, le prime di Massimiliano Allegri in panchina. Preso per 20 milioni dal Real Madrid come un giovane di belle speranze, aveva saputo ritagliarsi uno spazio ben più ampio di quello di bomber di scorta, diventando spesso decisivo. Come nella semifinale di Champions 2014-15: una rete al Real nel 2-1 all’andata e una (decisiva) nel ritorno al Bernabeu, a pareggiare il vantaggio di Ronaldo e a portare i bianconeri alla finale di Berlino. Poi quella che aveva regalato nel 2016 la finale di Coppa Italia contro il Milan, ai supplementari due minuti dopo aver sostituito Hernanes.
Morata. dopo il ritorno al Real passa al Chelsea
Gol e prestazioni che avevano convinto Florentino Perez a esercitare proprio nel 2016 il diritto di riacquisto per riportare Alvaro nella capitale spagnola. Ma come la prima parentesi (dalle giovanili alla prima squadra, con debutto nel 2010) anche la seconda in maglia bianca non è fortunata: il centravanti gioca, segna e vince (Liga, Champions, Supercoppa europea e Mondiale per club) ma non convince, in un Real che ama più i galactici della sostanza. E là davanti c’è Karim Benzema a fare coppia fissa con CR7. Così, quando nel 2017 si presenta il Chelsea con 64 milioni, l’affare è fatto. Per una esperienza ancora in chiaroscuro: bene con Antonio Conte, non altrettanto con Maurizio Sarri, al punto da accettare come una liberazione il passaggio all’Atletico Madrid nel gennaio 2018.
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