La ricostruzione di un gruppo, unico basamento per ogni risalita, coincide anche con la rinascita di quelle individualità più o meno azzoppate dalle derive precedenti. Pensiamo a Nkoulou, a Sirigu, ma anche a Verdi, Murru, Linetty, Zaza e Bonazzoli, tanto per allargare lo spettro. E allora, così pensando, dobbiamo anche ripensare a quelle frasi che Nicola dettava a fine partita sabato a Bergamo: «Abbiamo intrapreso una strada ricca di valori morali e tecnici e crediamo ciecamente nel lavoro che facciamo all’interno del gruppo. I segnali che stiamo dando sono persino più importanti del risultati. Ed è solo dentro a un gruppo che le qualità dei singoli vengono fuori. Gran parte del nostro cammino dipenderà dalla convinzione mentale, dedicando anima e corpo a ciò che facciamo. Dobbiamo insistere».
Cancellate anche solo una frase, e il castello viene giù. E tutto questo vale al quadrato, al cubo, tenuto conto della realtà trovata dal tecnico a metà gennaio: uno spogliatoio disorientato, sfiduciato, slabbrato, sfibrato, con in aggiunta pure le distrazioni da mercato aperto. E’ vero: i segnali che il Toro sta dando sono ben più confortanti dei risultati fin qui conseguiti (3 rimonte su 3, comunque), perché possono essere paragonati a una colata di cemento. Nuove fondamenta collettive. Non si possono raccogliere frutti, se prima non si semina. E in tale prospettiva è doveroso spendere due parole in più su Nkoulou, oggi. Alla prima gara con Nicola, a Bergamo, ha giocato da par suo: da play difensivo, date le doti tecniche superiori con entrambi i piedi, la visione di gioco, l’esperienza e la personalità. Dopo annate in crescendo, monsieur Nkoulou era andato in giostra nell’ultimo anno e mezzo: dal caso Wolverhampton in avanti. Era poi abbastanza risorto con Longo, salvo ripiombare (lui come la squadra) nelle sabbie mobili delle sconfitte e della sfiducia, nei mesi scorsi. I dialoghi collettivi ma anche individuali organizzati da Nicola in queste settimane stanno dando benefici a tutti.
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