TORINO – Paradossalmente – ma a ben pensarci non è poi così strano, almeno per un certo modo di pensare granata – il confortante avvio di stagione del Toro, ribaltato da Juric nel gioco e nell’anima, non ha indotto i tifosi a cambiare idea sulla gestione e le politiche di Cairo. Anzi, la sensazione, diciamo pure la consapevolezza, di non avere una società adeguata alle ambizioni e alla tempra del nuovo allenatore si è ulteriormente acuita, cogliendo vieppiù le contraddizioni del presente dopo le pene del passato e nel timore di nuove disillusioni nel futuro. A partire dal mercato invernale, laddove sarà necessario puntellare con ulteriori innesti di qualità e sostanza l’organico a disposizione del croato, possibilmente tagliando qualche ramo secco e ormai improduttivo malgrado gli scossoni e l’esempio dati da Ivan il Credibile. Senonché, è ormai noto anche ai sassi come le carenze del Torino Football Club non si limitino ai risultati sportivi di una contingenza più o meno favorevole. Le questioni irrisolte, che non smettono di tormentare i granata doc, sono molteplici e svariano dal Filadelfia incompiuto e blindato al Museo periferico e svilito; dal Robaldo mai iniziato cinque anni e passa dopo il bando alla Primavera costretta a giocare a Biella; dalle controverse relazioni con la tifoseria alla scarsa sensibilità per mille altre istanze avanzate da chi sogna di nuovo un Toro a 360 gradi, nelle aspirazioni e nello spirito d’appartenenza.
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