Il triangolo sì: altro che no, con buona pace di Renatone. Decisamente tutto un altro spartito, con Juric: e mica per i suoi gusti musicali tendenti verso il death metal. Perché qui c’è di mezzo un mito. Uno dei più grandi allenatori al mondo nella storia degli sport di squadra, non soltanto del basket statunitense, che ha influenzato e influenza ancora migliaia di tecnici nei 5 continenti, nei campi più differenti. Tutti a studiare i suoi libri, i suoi schemi, i suoi dettami tattici e comportamentali. Questione di ispirazioni e visioni: e affinità. E un visionario nel migliore senso del termine è stato in effetti l’immenso Phil Jackson.
Phil Jackson, leggenda vivente
Un monumento, il coach più vittorioso della Nba: 11 titoli nella cassaforte della gloria, 6 con i Chicago Bulls e 5 con i Los Angeles Lakers nel ventennio a cavallo del cambio di secolo. Una leggenda vivente (oggi ha 76 anni) anche nella gestione di spogliatoi mostruosi per quantità e qualità di fuoriclasse, tra bizze da star e colpi di genio mai visti prima sul parquet. Tutto complicatissimo e delicatissimo. Tutto meraviglioso, per lui. Con, accesi i riflettori sulla tattica, la creazione di un numero di schemi offensivi tendente pressoché all’infinito, attraverso la filosofia del «triangolo offensivo»: il principio primo del suo gioco. Che prevedeva, detto in estrema sintesi, una rotazione continua e combinata (palla in mano) dei giocatori, con la creazione di “triangoli visivi” sempre nuovi, uno agganciato all’altro (…)
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