TORINO. L’Ilo, l’Organizzazione internazionale del Lavoro che fa capo all’Onu, ha chiuso l’inchiesta sui diritti dei lavoratori in Qatar: «L’Ilo accoglie l’impegno del Qatar a intervenire in cooperazione con l’organizzazione per la promozione e la protezione dei diritti dei lavoratori Circa 2 milioni di lavoratori in tutti i settori godranno d’ora in poi di migliore protezione, compreso un sistema di risoluzione delle controversie, accessibile anche ai più vulnerabili» hanno commentato Guy Ryder e Luc Cortebeeck, dg e presidente dell’Oil. All’interno del report, dal titolo Labour reforms in the State of Qatar, si legge che diverse nuove leggi e regolamenti, adottati a partire dal 2018, hanno eliminato gli aspetti più problematici della “kafala”, un sistema secondo il quale i lavoratori del Qatar dovevano ottenere il permesso dei datori di lavoro per poter cambiare lavoro. Questo rendeva i lavoratori eccessivamente dipendenti da datori di lavoro che spesso si trasformavano in sfruttatori. Ora i lavoratori possono cambiare datore di lavoro in qualsiasi momento durante il contratto, dopo un periodo di preavviso massimo di due mesi. Inoltre i lavoratori migranti, compresi i lavoratori domestici, non hanno più bisogno di un permesso di uscita approvato dal datore di lavoro per lasciare il Qatar. Lo smantellamento del sistema della “kafala” ha facilitato un enorme aumento della mobilità del lavoro, con oltre 348.450 lavoratori che hanno cambiato lavoro tra il 1° novembre 2020 e il 31 agosto 2022. Nel marzo 2021 è entrata in vigore anche la legge sul salario minimo. sempre nel 2021 è stata adottata una decisione ministeriale che amplia il periodo in cui è vietato lavorare all’aperto durante l’estate: il numero totale di orari di lavoro vietati è significativamente più alto rispetto a qualsiasi altro Paese della regione.
TUTELE E DIRITTI
I problemi della tutela dei lavoratori in Qatar sono stati al centro di molte denunce da parte delle organizzazioni umanitarie. Secondo Amnesty Intenational sarebbero addirittura 6.500 i morti durante i lavori per il Mondiale e anche le condizioni di vita sono spesso al di sotto della soglia minima di dignità per gli immigrati dal Sud Est Asiatico, dal Bengala e dall’Africa. Ora l’annuncio del ministro qatariota aprirebbe a scenari di maggiore dignità almeno secondo i responsabili dell’Oil. A sostenere l’Ilo vi è anche la Confederazione sindacale internazionale, che nel 2014 è stata fra le voci più critiche contro il Qatar: «Doha ha fissato un nuovo standard per i Paesi del Golfo. – ha commentato il segretario generale Iutc Sharan Burrow – che dovrà essere applicato anche da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti dove milioni di lavoratori migranti sottostanno a forme di moderna schiavitù». Che ci fossero dei problemi, insomma, era arcinoto. Qualcosa si muove, anche se la stessa Iol ammette che il percorso è solo all’inizio: «Ci vuole tempo per costruire istituzioni e cambiare pratiche radicate. I diritti dei lavoratori domestici devono essere maggiormente tutelati, compresi quelli relativi agli orari di lavoro e di riposo. Il Qatar ha dimostrato la sua determinazione a portare avanti il suo programma di riforme del lavoro. L’OIL e gli altri partner continueranno a sostenere le riforme per garantirne il progresso e il successo». E’ innegabile che anche l’organizzazione del Mondiale, con tutti i suoi limiti e le sue storture, abbia dunque contribuito ad accendere un faro sui diritti dei lavoratori. E spinto molti ad accorgersene: resta molto da fare, ma qualcosa si muove anche grazie al calcio.
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