MILANO. L’anno scorso volava, quest’anno cammina. È la parabola dell’Inter di Simone Inzaghi. Un limbo a cui l’allenatore non si vuole rassegnare. Certo è che questa Inter ha smarrito la spina dorsale, al netto della partenza (dolorosissima) di Ivan Perisic. Così hanno origine le difficoltà di questa prima parte di stagione in cui, non a caso, la squadra è deragliata ogni qual volta è stata alzata l’asticella (unica aurea eccezione la gara col Toro quando però Handanovic è stato il migliore in campo e il gol rompighiaccio è arrivato solo sul gong, grazie all’azione confezionata da Barella e concretizzata da Brozovic). Con la Roma il croato non ci sarà: assenza che mette i brividi al pensiero che, nell’ultimo campionato, l’Inter – senza il suo faro – ha racimolato 2 punti sui 9 disponibili.
Se l’Epic nerazzurro è al centro della dorsale, i problemi stanno pure negli altri snodi della colonna. In attacco è scomparso dai radar da fine agosto Romelu Lukaku che, in base agli ultimi aggiornamenti sul suo recupero, ora lavora per esserci con il Sassuolo (questo vuol dire che, oltre alla Roma, salterà pure il Barça in Champions): un Mondiale ormai alle porte, il fisico da pivot del belga e la volontà dello staff medico di non rischiare nefaste ricadute, hanno fatto sì che i tempi si siano dilatati e questo – oggettivamente – è un problema importante per l’allenatore. Il quale si è complicato la vita nel ballottaggio dei portieri anche perché il rendimento di Handanovic non è più quello dei bei tempi andati. Il discorso vale pure per De Vrij che evidentemente non ha ancora ben metabolizzato l’idea che l’Inter potesse scaricarlo per prendere Bremer. Al posto dell’olandese, Inzaghi ha trovato Acerbi che però è ottimo per tappare un buco, ma non può certo innalzare il valore del reparto. Quattro indizi (le assenze di Brozovic e Lukaku, il calo di rendimento di Handanovic e De Vrij) che non sono alibi, ma prova di come l’Inter, rispetto all’anno scorso, di uguale abbia solo il nome, il tutto senza pensare che tutto il mercato è stato fondato sull’idea che Big Rom potesse permettere alla squadra di fare il definitivo salto di qualità per lo scudetto. Parola che oggi non conviene pronunciare: prima bisogna rimettersi in carreggiata, poi si potrà pensare alla stella.
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