Juve-Torino, l’intervista a Bruno
Dagli Hearts al Toro
«Stesso colore di maglia, granata: il mio destino. Gli scozzesi a Firenze: che per me ha rappresentato un’altra bella pagina di vita».
A maggio Bremer ballava sotto la Maratona: “Chi non salta bianconero è”. Due mesi dopo firmava per la Juve.
«Forse a maggio era convinto che sarebbe passato all’Inter, per cui non vedeva problemi in quel balletto, anzi. Ormai non decide il giocatore, ma il procuratore. I giocatori sono molto influenzati dagli agenti. Il suo alla fine gli avrà detto: la Juve offre le condizioni migliori sia a te sia al Torino, altro che l’Inter… Per cui posso persino perdonarlo. In ogni caso, secondo me ha fatto la scelta sbagliata. E non solo per come sta andando la Juve. Anche per come sta giocando lui. L’ho visto spaesato. Deve giocare a zona, ma non è abituato. Bremer da anni era abituato a marcare a uomo, a seguire dappertutto un attaccante. A zona perdi qualcosa, non hai più il contatto diretto con un uomo di riferimento. Difatti l’ho visto spesso in difficoltà. Un po’ spaesato, appunto. E dire che è più facile giocare a zona, a parte il fatto che devi stare molto più attento ai movimenti dei compagni. Marcare un attaccante forte a uomo è un lavoro decisamente più massacrante».
Immagini il suo stato d’animo, in quello che era il suo stadio. Dai cori ai fischi.
«A me più mi attaccavano dagli spalti, più mi caricavano. Dipende dal carattere. Ma sarebbe grave se a questi livelli Bremer si facesse influenzare dai fischi e perdesse sicurezza in campo. Non credo, dai».
Perdona Bremer. E Belotti?
«Belotti si è comportato molto peggio. Per mesi con il suo silenzio si è mostrato irrispettoso nei confronti dei tifosi e dell’amore cieco che provavano per lui da anni. Avrebbe potuto e dovuto dire la verità, a testa alta: me ne vado perché non sono d’accordo con le scelte di questa società, le prospettive sono sempre limitate e dopo tanti anni sono stanco. Invece quella sua fuga come di notte e quel silenzio gelido hanno ferito la sensibilità e la passione di tutti i tifosi. Non è stato un comportamento da uomo. Oltretutto il Toro gli offriva cifre importanti: poteva restare, su. Noi ai nostri tempi eravamo forse scemi a essere onesti? Però poi, a distanza di decenni, la gente ricorda con affetto i Policano, i Bruno: chissà come mai».
Vista anche la contestazione, Cairo avrebbe dovuto evitare di vendere Bremer proprio alla Juve, a costo di rimetterci qualche milione?
«Cairo è un grande imprenditore, ma fare il presidente di una squadra di calcio è totalmente diverso. L’imprenditore pensa ai soldi. Invece a un presidente servono passione, sentimento. Non ha cuore né conoscenze specifiche. Non può gestire il Torino come le sue aziende, come una tv o un giornale. Dovrebbe delegare le scelte al ds e all’allenatore, che ne sanno di più. Invece vuole decidere tutto lui, sempre, e sbaglia perché capisce poco di calcio, non se ne intende abbastanza, non è il suo mestiere. Cairo non mi è né simpatico né antipatico. Mi ricorda il presidente della scuola calcio che ho fondato in provincia di Lecce con alcuni amici, a Parabita, la Soccer Dream: un caro amico, un bravissimo imprenditore nel tessile, ma anche lui quando si intromette nel calcio fa solo danni. Gli dico: tu pensa a fare le tue camicie, che sono bellissime… Il fallimento sportivo di Cairo lo dicono la storia, i numeri, i fatti, non Pasquale Bruno: 17 anni di nulla e tifosi sempre più depressi. Ogni anno, Cairo si allontana sempre più dai tifosi. Il record negativo degli abbonamenti ne è l’ennesima riprova. Avrebbe dovuto fare come Berlusconi, per cui lavorava: circondarsi di gente che si intende di calcio e delegare a loro. Invece: 17 anni di nulla. E, ripeto, non lo dice Pasquale Bruno. Cairo dovrebbe sentire le telefonate che ricevo di continuo dai miei amici tifosi di Torino. E poi un’altra cosa: quando vince, va a parlare ai giornalisti come se avesse giocato lui, però quando perde non si vede mai. Eh no, amico mio: troppo facile. E queste cose i tifosi le notano, le notano anche i giocatori. E si aprono crepe, perché sono comportamenti che fanno rumore. Fare calcio non è solo mettere i soldi. Ma anche rispettare l’orgoglio, i valori e le speranze dei tifosi».
Il dopo Bremer tra i piedi di Schuurs.
«A gioco lungo, sarebbe una gran soddisfazione per noi del Toro vedere che Schuurs non fa rimpiangere Bremer. Spariti lui e Belotti, i tifosi avrebbero bisogno di nuovi simboli. I piedi buoni li ha, così come la personalità: basta vederlo uscire palla al piede. Juric gli sta facendo fare un lavoro massacrante ma utilissimo in allenamento per insegnargli a giocare a uomo. Non come in Olanda. Ma con una ferocia maggiore nelle marcature, nei tackle, negli anticipi. Juric lavora benissimo, avrebbe fatto grandi cose negli Anni 90 con noi difensori dell’epoca e i migliori stranieri in Italia».
Schuurs contro Vlahovic.
«Mi davano del pazzo, un anno fa: oggi un po’ di meno? Continuo a dire che, a quelle cifre, il vero affare l’ha fatto la Fiorentina. Vlahovic è un buon giocatore ma tanto sopravvalutato, non un campione. E non vale l’ingaggio mostruoso che ha. E la spesa che la Juve ha dovuto sostenere. Come per Locatelli e altri. Ma sono problemi della Juve, questi. Non miei»