«Per valutare un ragazzo non si guarda il fisico, ma le qualità» sentenzia Franco Ceravolo, talent scout di lungo corso, ex responsabile dell’area tecnica della Juventus. Di giocatori, che poi hanno calcato il palcoscenico della Serie A, ne ha scoperti parecchi, «alcuni persino scartati dai colleghi», ha quindi l’esperienza per spiegare con quali criteri saranno valutati, durante la preparazione estiva, i vari Fagioli, Miretti, Rovella, Ranocchia.
Ceravolo, il fisico non serve?
«Serve per determinati ruoli, quello del portiere e del difensore centrale: o possiedi la forza esplosiva di Fabio Cannavaro oppure in questi casi devi avere un certa struttura fisica per giocare davanti alla porta, come per starci, in porta».
Nella valutazione di un giovane che cosa prevale allora?
«La tecnica di base, il cambio di passo, ovvero la corsa e la capacità di saltare l’avversario perché crea superiorità numerica, la visione di gioco. Il tutto in base anche alla posizione in campo: un centrocampista, esempio, deve saper impostare l’azione, avere la velocità di pensiero per capire, prima ancora di ricevere la palla, che cosa farne»
E l’aspetto psicologico?
«È fondamentale, però con la testa si nasce, non la si può allenare. Ho visto tanti giovani bravi, forti fisicamente ma fragili mentalmente, che al primo impatto negativo sono andati in crisi».
Si può già testare il livello di “fame agonistica” di un ragazzo di 18-20 anni?
«La noti, ma è un elemento successivo di valutazione. Prima devi capire se il ragazzo è forte, poi si valuta quanto sia disposto al sacrificio e a dare sempre il massimo».
È diffcile che la Juventus confermi in prima squadra tanti giovani?
«Sì, a meno che uno non sia un fenomeno. I club preferiscono mandarli in prestito e valutarne la crescita. E poi possono rientrare in prima squadra, avere bisogno di un altro anno di prestito, oppure vengono venduti per fare cassa».
Un aneddoto da talent scout.
«Mi chiamarono a Napoli per vedere tre ragazzini di 13 anni: a fine partita mi chiesero quale mi aveva impressionato di più. Io ne indicai un altro. “Ma è un po’ sovrappeso, ha la pancia…”. Risposi che era lui quello che mi era piaciuto di più: si chiamava Antonio Nocerino».