Ivan Ramiro Cordoba non si nasconde dietro le maschere di Barranquilla. Maschere colorate che ci guardano mentre davanti a un buon calice di Chardonnay de Potrero (il vino prodotto a Mendoza, in Argentina, da Burdisso) parliamo di Inter. Della sua Inter. A Milano ha deciso di vivere, costruirsi un pezzo della sua Colombia con Mitù. Oggi Ivan dell’Inter è tifoso, ma soprattutto è dirigente, nonché socio di minoranza al Venezia: «Un motivo per dare ancora di più. Questa condizione mi porta ad avere più responsabilità verso la squadra, i tifosi e la città».
È scontato essere un bravo dirigente dopo essere stato un grande calciatore?
«Nulla è scontato. Bisogna prima prepararsi. Bisogna studiare. Bisogna avere l’umiltà anche di cominciare un percorso diverso da quello del calciatore. In tanti si stupiscono perché io sia a Venezia e non all’Inter. Io no. Io mi sto ancora formando come dirigente. Se un domani dovessi arrivare all’Inter voglio essere preparato. Ho fatto il corso da direttore sportivo, ho fatto il corso da allenatore, ho fatto un master alla Bocconi. Per adesso mi piace quello che sto facendo. Ci sto mettendo l’anima e prima di tornare all’Inter, voglio sentirmi pronto».
La vera Inter è quella dei passi falsi in campionato o quella bella in Champions?
«La vera Inter è quella che va al Camp Non e fa la partita. Se fai questo a Barcellona vuol dire che sei forte. Se non hai quelle qualità, quelle capacità non fai una partita del genere. Non ci riesci. Devono trovare la continuità che li ha portati a vincere lo scudetto. Manca solo quella all’Inter oggi».
La partita di Barcellona di oggi le ha ricordato quell’impresa al Camp Nou del 2010?
«Ho rivisto quello spirito, di una squadra che non aveva paura di sbagliare. E sono contento che non abbiamo vinto… Meglio restare con i piedi per terra e continuare a lavorare per migliorare. Ma questa squadra ha dimostrato di essere una corazzata».
L’Inter come si difende?
«In difesa l’Inter non si deve preoccupare. Forse io avrei preso un difensore in più prima, fin da subito. Non avrei aspettato la fine del mercato per prendere Acerbi. L’Inter aveva bisogno di un giocatore in più. Se giochi con una difesa a tre devi averne almeno cinque. Noi giocavamo con due difensori centrali e ne avevamo sei…»
Skriniar ha pagato inizialmente il mancato rinnovo?
«Per me Skriniar non si discute mai. Può avere alti e bassi ma è un giocatore che ti dà sicurezza, che garantisce un rendimento alto e costante nel corso della stagione. Il contratto? In estate la società lo ha messo in una condizione non semplice, forse dovevano proteggerlo un po’ di più».
E Bastoni?
«Se non punti su giocatori come Skriniar o Bastoni che sono sul futuro su chi devi puntare? Sono il futuro dell’Inter e Alessandro è anche il futuro della Nazionale di Mancini».
E Acerbi?
«È una bella conferma. Poteva esserci il dubbio del salto in avanti, del potersi meritare una squadra come l’Inter. Inzaghi lo conosce bene e la sua fiducia lo ha sicuramente aiutato e ha dimostrato di essere un giocatore affidabile. Non sarà il giovanissimo ma da lui sai cosa aspettarti».
Mentre De vrij…
«De Vrij è forte. Può aver avuto un momento no. Ma Stefan non si può discutere…»
In chi si rivede?
«Dico Skriniar per l’aggressività, per quella voglia di andare a prendere il pallone. Finché non prende il pallone non è contento. È una vocazione. Come l’attaccante muore per far gol, lui muore per recuperare il pallone. Anch’io ero così…»
Un difensore da consigliare all’Inter?
«Dico Jhon Lucumí e non perché sia colombiano. Lo seguo da quando giocava nel Calì e con la maglia della Colombia Under 17. Lo seguo anche oggi che gioca nel Bologna. È forte fisicamente, è mancino. Può fare il terzino o il centrale, può giocare a tre come a quattro».