Campo di Pinzolo, un’estate di molti anni fa, l’estate del Napoli campione d’Italia in ritiro in Trentino. L’allenamento della squadra è appena terminato. Diluvio universale. Incuranti, sul terreno rimangono Claudio e Diego. Diego piazza la barriera sagomata al limite dell’area e sbotta: «Claudio, scommettiamo che se tiro venti punizioni all’incrocio ti faccio sempre gol?». Claudio sorride: «Tu, provaci». Uno, due, cinque, dieci: Diego fa sempre gol. Al che Claudio gli va incontro, si sfila i guantoni e abbraccia Diego: «Per oggi basta così, ma almeno un tiro potevi sbagliarlo, dai». E se ne vanno verso gli spogliatoi, con Diego che sventola i guantoni sulle orecchie di Claudio e tutti e due non smettono di ridere. I guantoni, l’attrezzo di lavoro meno usato dal portiere che parava con i piedi, cresciuto nel vivaio del Toro.
In morte di Garella, il ricordo di Pinzolo torna alla mente pensando al Gigante Buono, la cui bonomia era direttamente proporzionale alla stazza, così come il suo stile-non stile che l’ha esaltato e reso unico. Una volta si descrisse in questo modo e non avrebbe potuto trovare parole migliori: «Dite che sono brutto, sgangherato, clownesco, antiatletico, un portiere da hockey, eccetera. Io, invece, dico che sono un portiere vero e non invidio nulla a nessuno, nemmeno a Zenga che pure è il più bravo di tutti. Zenga è stato per l’Inter come il Garella dello scudetto a Verona. E se non c’ero io, il Verona probabilmente non avrebbe vinto lo scudetto, mentre il Napoli con un altro al posto mio l’avrebbe vinto ugualmente: questa è la mia verità. Curioso: vinco gli scudetti dove non si sono vinti mai, a Verona e a Napoli. Porto fortuna? Non lo so, so solo che ho vinto anch’io». Il più forte portiere del mondo senza mani (fulminante definizione di Gianni Agnelli) se n’è andato in punta di piedi, proprio alla vigilia di Verona-Napoli, le due squadre che intendono onorarlo nel modo migliore.
In queste ore in cui i pensieri dedicati a Garella si affastellano e si mescolano al dolore di chi l’ha amato, di chi con lui ha giocato, colpiscono anche le testimonianze del mondo dilettantistico in cui Claudio si era immerso negli ultimi anni. Grondano amore, passione per il calcio, quello vero, quello genuino, quello pane e salame: allenatore del Barracuda in Prima Categoria, allenatore Juniores del Cit Turin, direttore sportivo del Pecetto in Promozione, osservatore del Canavese in Serie D e, da ultimo, tuttofare al Barracuda. Nomen omen: il barracuda è un pesce imprevedibile, come le parate di Claudio, grande portiere e portiere grande che ha portato Verona e Napoli nella storia. Senza mai tirarsela. Al massimo, bofonchiando in torinese, «esageruma nen». Non esageriamo. Due parole per dire tutto di lui.
in Serie A
In morte di Garella, il portiere senza mani che si fece Barracuda
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