Ogni singola parola è come se la pronunciasse anche papà. Giampiero Ventrone se n’è andato troppo presto, ma ha lasciato una grande eredità. Ai suoi calciatori, agli allenatori che hanno lavorato con lui, ma soprattutto alla sua famiglia. Ai figli Ivan e Martina e anche all’amata moglie Cinzia. Nelle frasi di Ivan, ragazzo di 25 anni che oggi lavora in ambito sales in una multinazionale del settore pubblicitario, traspare il rammarico di un figlio che vorrebbe ancora abbracciare il proprio padre. Stringendolo forte, come se lo dovesse salutare per l’ultima volta. Ma a Ivan piace ricordare le cose belle: lo fa con orgoglio smisurato, perché Ventrone gli ha insegnato a vivere a testa alta. Sempre.
Ivan, chi era papà?
«Era speciale, in tutti i sensi. Ha sempre cercato di mettere in pratica gli insegnamenti ricevuti da militare. Per lui rigore e disciplina erano alla base di ogni giornata, di ogni singola scelta. Trasmetteva questi valori ai suoi giocatori e alla sua famiglia. Per tutti era il “Marine”, ma creava un’empatia magica. Con chiunque: era una grande persona, in grado di aiutarti e farti tirare fuori il meglio. E nel suo mestiere ha fatto la storia».
In che senso?
«Lui era un innovatore, perché ha sempre studiato in maniera ossessiva. Ha anticipato il concetto di forza nel calcio, è stato uno dei primi a studiare la seduta atletica al termine della partita per i giocatori che non erano scesi in campo. Era così affamato che quando faceva la gavetta nei dilettanti la notte rubava i coni in tangenziale. Ha portato i giocatori in palestra, ha portato la musica in palestra. Non era solo un preparatore atletico, perché aveva una personalità ingombrante. Non ha mai avuto paura del confronto, anche duro. E non è mai sceso a compromessi in tutta la vita».
Marcello Lippi lo ha conosciuto a Napoli e con lui ha iniziato il ciclo d’oro alla Juve.
«Papà è partito dal Real Sant’Anna e dalla Puteolana, poi le giovanili del Napoli e da allora è scattato il feeling con Lippi. Gli anni alla Juventus sono stati i più belli della sua carriera: un decennio indimenticabile, perché ha trovato una società che gli ha permesso di lavorare bene su tutti gli aspetti. Ha messo la Juve davanti alla propria famiglia. La forza di quella società è stata quella di aver concesso carta bianca a tutti i propri uomini di campo».
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