Cosa pensa del Torino un sessantenne ex giocatore, allenatore e ancora oggi tifoso?
«Dico sempre di essere stato il bambino più fortunato di Torino. Ho giocato nel settore giovanile, debuttando in prima squadra e giocando in Serie A con la maglia granata. Il Torino ha perso la sua identità in cui noi nostalgici ci riconoscevamo. Aveva dei valori unici, che anche gli avversari riconoscevano: dal settore giovanile a Superga, dal Filadelfia a tante altre cose che hanno permesso di lottare con i cugini ma sempre mantenendo le radici».
Che idea si è fatto della lite molto accesa tra Juric e Vagnati?
«Sono cose che nel calcio succedono, anche se dentro lo spogliatoio. È stato imbarazzante il fatto che sia venuto fuori. A livello professionale, nel calcio oramai ci sono compromessi tali da mantenere equilibri, anche precari, nonostante non ci sia stima reciproca. Non mi stupisco, invece, della possibile mancanza di feeling caratteriale tra due persone. Anche se arrivare a quel punto credo ci sia qualcosa di profondo che non va bene».
Le immagini hanno fatto il giro del web. Che sensazione ha provato quando le ha viste?
«Di dispiacere. È stata resa pubblica una cosa che può succedere in tutti gli ambienti, anche in famiglie. Scene di questo tipo ai miei tempi non sarebbero successe così alla luce del sole. Poi magari in un ambiente in cui ci sono caratteri forti si riescono a ottenere risultati migliori. Lo spogliatoio resta il posto più sano».
L’allenatore ha fatto capire di essere arrivato al limite di sopportazione.
«È tosto e terrà duro finché potrà. Ha un contratto lungo, che pesa da una parte e dall’altra. Sui tarallucci e vino dopo la querelle ha inciso l’aspetto economico. Mandare via Juric e Vagnati per Cairo significherebbe perdere tanti soldi».
Ci sono litigi che fortificano o sono solo l’anticamera del fallimento?
«Non sono uno che pontifica, perché a volte faccio fatica a capire le dinamiche del mio spogliatoio, figurarsi quello degli altri. È chiaro che i tifosi auspicano un chiarimento e che si faccia quello che è meglio per la squadra».
Quanto ha inciso il mercato a rilento in questa situazione?
«È stato determinante. Nessuno, tra Juric e Vagnati, può fare ciò che vorrebbe: uno perché non ha i giocatori che vorrebbe, l’altro perché non può acquistarli. Se due persone sono insoddisfatte aumenta il nervosismo e magari esplodono in situazioni come quella tra Vagnati e Juric dei giorni scorsi. Il Torino è Cairo, e nessun altro. Altrove non funziona così, ma il Toro è a conduzione familiare. In altre società ci sono tantissime persone in dirigenza e faccio fatica a capire realmente a cosa servano. Sono estremi diversi».
Quindi non è solo un problema di mercato?
«I problemi sono tanti. Penso alla mancanza di un centro sportivo, perché il Filadelfia non è del Torino e non è stato costruito dalla società. A livello di visione un club non può non pensare di avere strutture all’avanguardia. E poi, sempre per la nostalgia di un ragazzo del Filadelfia, c’è un settore giovanile allo sbando. L’altro giorno ho regalato a un mio amico la foto della vittoria del campionato nazionale Allievi con il Torino, nel 1980. È stato l’ultima vittoria in ordine di tempo, e questo dice tutto».
A proposito, la Primavera è reduce da un anno in trasferta, con la sola ultima partita giocata al Filadelfia.
«Mi sembra veramente assurdo che i ragazzi non possano giocare al Fila. Mi rendo conto che Juric tenga al terreno di gioco del campo principale, ma si tratterebbe di una partita ogni 15 giorni. Per quello che sta facendo la società sul settore del giovanile vuol dire che non vuole investire. Anche la situazione del Robaldo è imbarazzante».
Quanto incidono sul rapporto con i tifosi le problematiche che ha elencato?
«Tanto. Oggi tanti sono molto meno innamorati del Toro, me compreso. Lo scorso anno non sono mai andato allo stadio, nonostante mi piacesse il gioco di Juric. Vivo a Torino respiro l’aria del Toro ma vedo che non c’è nemmeno più rabbia tra i tifosi: solo apatia, assuefazione alla situazione odierna. È brutto sentire dire a qualcuno di loro “Se si vince o si perde non cambia niente”».
Così com’è questa rosa riuscirebbe a salvarsi?
«Secondo me sì, ma solo perché c’è Juric che è una sicurezza. È l’unico che sembra aver voglia di reagire, e si arrabbia perché ci crede. Questa è la sua forza, e per i tifosi che credono ancora nel Toro è importante. Ti dà speranza. Anche contro il Nizza, nonostante le poche alternative, il Toro ha dimostrato di avere qualità».
Torniamo all’attualità, Lukic è l’uomo giusto per indossare la fascia da capitano?
«Sì, anche perché conosce da più anni il Torino dall’interno e ha respirato un po’ d’aria granata. Ad oggi non vedo altri papabili in questa squadra».
Ragionando anche in base all’ultima sfida contro il Nizza, in quale reparto il Torino ha più bisogno di rinforzi?
«Direi dappertutto. In difesa serve un giocatore e in avanti un paio di trequartisti. Il campionato inizia tra poco ed è un rischio, di solito, inserire giocatori negli ultimi giorni. Poi magari può essere il contrario, ma io da allenatore vorrei i giocatori già in ritiro».
La cessione di Bremer alla Juventus l’ha sorpresa?
«Ho sempre detto di diffidare dai calciatori che baciano le maglie. La perdita più grande dal punto di vista identificativo è stata Belotti: condivido la sua scelta e il suo comportamento, perché ha dimostrato in campo quanto volesse bene alla maglia granata. Non è un ruffiano e per me è stato un calciatore e un uomo vero. Incarnava il classico spirito Toro ed era diventato un simbolo».
Cosa si aspetta sul mercato da qui al 1º settembre?
«Che il 31 agosto arrivino 3 o 4 giocatori, come succede da anni. Speriamo di essere smentito».
E dal Toro nella prossima stagione?
«Vedremo, anche se Juric è una garanzia. Sono fiducioso perché c’è lui, comunque vada il mercato. Il Torino dovrebbe sempre lottare almeno per il settimo posto, provando a conquistare un posto in Europa League o Conference».