La Juventus non riparte da zero ma da due. Vlahovic e Chiesa sono le sole certezze di una squadra che va riformata, in ogni settore. Due certezze di valore oggettivo, una mortificata da quando è arrivata da Firenze, ovviamente trattasi della punta serba, l’altra con l’interrogativo di una condizione atletica e fisica da recuperare. Il resto è routine ordinaria, di un gruppo che ha smarrito le sue caratteristiche storiche, la fame, la cattiveria, il cinismo oltre alla qualità degli interpreti. Mi limito a sottolineare le due valenze, anche di bilancio, perché c’è molto da scartare se davvero si voglia ricostruire, almeno nel quadro tecnico, l’identikit della Juventus che tutti conoscevano. Nessun dubbio sul valore del portiere, di Bonucci o di Cuadrado, di Rabiot o di McKennie, di Locatelli o Morata ma siamo a note di margine mentre non si può pensare di ricominciare con la coppia brasiliana Arthur–Alex Sandro, così come De Sciglio e Rugani o, ancora, Bernardeschi e Zakaria, tutta gente che fa numero e provincia, raramente fa grande squadra.
La missione non è facile, anzi è impossibile considerato il patrimonio a disposizione dei dirigenti che, a loro volta, non sono esenti da responsabilità. In questa Juventus, fatta eccezione per il presidente che ha scelto la politica del silenzio, sono in troppi a parlare e la staffetta dei portavoce, nei prepartita, è la didascalia di quello che accade. Nedved, poco prima della partita con il Genoa, azzarda un paragone di Kean con Ronaldo e garantisce almeno 25 gol ma a condizione che il ragazzo giochi vicino alla porta, lo stesso Kean sbaglia in modo fantozziano il gol che avrebbe chiuso la partita invece subito dopo vinta dal Genoa. Arrivabene spiega il momento di Vlahovic ricordando che anche Ibrahimovic al primo anno ricevette critiche e poi esplose l’anno successivo, cosa che invece accadde esattamente al contrario. Ognuno ha il proprio quarto d’ora di gloria. Su Allegri non aggiungo altro. Mi è bastato vedere Dybala nel compito di “schermare” Brozovic. A voi studio.