TORINO – Il dispositivo del “Tribunale Federale Nazionale” è simbolico c’è una nuvola d’inchiostro con il lunghissimo elenco dei deferiti e, sotto, una riga solitaria: «Il Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare, definitivamente pronunciando, proscioglie i deferiti». L’immagine burocratica del tanto rumore per nulla. Tutti prosciolti dalle accuse, perché le accuse si sono sciolte, ancora una volta di fronte all’utopia di stabilire scientificamente il valore esatto di un giocatore. La Procura Federale, i suoi consulenti, la Covisoc hanno sbattuto ancora una volta contro lo stesso muro, provando ad arrampicarsi sopra con una scivolosissima teoria matematica, smontata senza difficoltà dalle difese. L’utilizzo delle valutazioni di un gruppo di appassionati di un sito Internet come infallibile pietra di paragone è stata poi una ciliegina quasi comica su una torta già traballante di suo.
Tempo perso
Quindi, ancora una volta, si è parlato per mesi di qualcosa che è evaporato in un giorno. Il fumo del sospetto e delle frettolose sentenze morali ha inquinato il dibattito per molto più tempo di quanto lo stesso dibattito verrà occupato dalla notizia del proscioglimento. Quanto tempo buttato. Troppo tempo buttato perché attorcigliarsi ancora una volta nel tentativo di dimostrare in modo oggettivo il valore di un giocatore è una decisione di sconcertante ingenuità, dopo che in passato anche altri magistrati hanno dovuto arrendersi di fronte all’impossibilità dell’accusa di dimostrare qualcosa di plausibile. Quante inchieste disciolte nel nulla serviranno ancora per lasciare perdere? Nessuno si è mai chiesto il perché in Italia siano finite sotto indagine la Juventus e il Napoli, ma in Francia nessuno ha indagato il Marsiglia o il Lille? Procure francesi più pigre o, semplicemente, meno velleitarie?
Fango inutile
La sostenibilità del calcio italiano è un problema. E generare in modo industriale plusvalenze attraverso scambi non è in nessun modo una risposta plausibile a quel problema. Anche perché, fittizie o meno, non risolvono il problema, ma lo rinviano ingigantendolo. Ma in Italia, di fronte a un problema, si ha la pessima abitudine di costruire inchieste e non riforme. Il fatto che due club possano mettersi d’accordo per generare un ricavo che esisterà solo sul bilancio e non produrrà ricchezza deve essere oggetto di una norma, pensata e ragionata, non lo spunto per l’ennesimo guardie e ladri che un obiettivo lo raggiunge di sicuro: dare l’impressione che il calcio sia più marcio di quello che è, infangarne la già sgualcita copertina, salvo poi lamentarsi che il prodotto è difficile da vendere. Ma va?
Come fare
Abolire le plusvalenze non si può (significherebbe la morte dei club che vivono della vendita dei loro campioni), ma studiare una norma che impedisca di inserire alla voce ricavi i proventi dalle operazioni fra due club che, sommate alla fine della sessione, non producono uno scarto significativo di passaggio di denaro, potrebbe essere l’uovo di colombo per ripulire i bilanci da certi artifici. Forse sarebbe meglio usare i soldi delle consulenze affinché degli esperti sviluppino in modo compiuto un ragionamento di questo genere, invece di lanciarli nella spericolata elaborazione di algoritmi per calcolare il valore di un giocatore.