E adesso chi lo dice a Andriy Shevchenko che deve fare le valigie e chiudere la sua brevissima avventura (appena nove partite di campionato e due in coppa Italia) come allenatore del Genoa? Tutto deciso, sembrava. Via Sheva e dentro Bruno Labbadia, italotedesco, 56 anni il prosismo 8 febbraio, ex tecnico, tra le altre, di Bayer Leverkusen, Amburgo, Stoccarda, Wolfsburg, Hertha Berlino nonché calciatore di ottimo livello (2 presenze in Nazionale). Labbadia è stato scelto personalmente dal direttore generale e plenipotenziario per il mercato del club rossoblù, Johannes Spors, il quale di calcio europeo si intende. Ha lavorato a vario titolo per Hoffenheim, Lipsia, Amburgo, Vitesse. Tutto fatto, tutto deciso. Raggiunto l’accordo con Labbadia (due anni di contratto con opzione per il terzo), pronto a firmare. Ora tutto bloccato in attesa delle decisioni del vertice del Genoa. Labbadia è descritto come uno specialista nei subentri in corsa, un tecnico di forti qualità umane. Figlio di immigrati italiani della provincia di Latina, da bambino fu vittima di bullismo, i compagni di scuola lo deridevano chiamandolo “mangiaspaghetti” (spaghettifressen) sebbene non parlasse italiano per scelta, nel tentativo di integrarsi nella società tedesca. Anche ogi la sua padronanza dell’italiano è un po’ approssimativa. In una vecchia intervista alla tv italiana Labbadia confessò di provare simpatia e ammirazione per la Sampdoria. Era lo squadrone di Boskov, Vierchowod, Mancini, Vialli. Roba vecchia. Ma ai tifosi del Genoa quelle parole non piacquero e non piacciono neppure oggi. A Genova per certe cose la gente ha memoria da elefante…
Labbadia, dunque, sulla panchina del Genoa. Senonché il Genoa nell’infrasettimanale di San Siro contro il Milan ha sì fallito il passaggio ai quarti di finale di Coppa Italia, giocando però la miglior partita, per applicazione senso tattico e generosità, sotto la gestione dell’ex Pallone d’Oro 2004. Rimettendo così in discussione, seppure a strettissimo lasso di tempo, la posizione di Shevchenko. Il tecnico ucraino potrebbe persino restare in panchina fino al posticipo di campionato di lunedì sera a Firenze e chissà cosa accadrebbe se il Genoa facesse risultato, giocando bene come ha giocato a Milano, anche al Franchi.
“Grande è il caos sotto il cielo, dunque la situazione è eccellente”, disse Mao, il Grande Timoniere cinese. Rimpicciolendo il celebre detto alle cose del calcio, si ha l’impressione che la leadership del Genoa, passata agli americani di 777 Partners, che ad ottobre hanno chiuso l’era Preziosi stia perdendo il controllo del timone della nave rossoblù. Perlomeno che abbia sbagliato i tempi e i modi nella gestione del passaggio fra Shevchenko e Labbadia. E’ pur vero che il bilancio dell’ex Milan in campionato è disastroso: appena tre punti, frutto di altrettanti pareggi con Udinese, Atalanta e Sassuolo. E che il Genoa-squadra è andato sfaldandosi anche sotto il profilo del gioco. Fatale è risultata la sconfitta nello spareggio salvezza contro lo Spezia, vittorioso a Marassi. La classifica geme come un dannato nell’inferno dantesco, il Genoa è penultimo con un solo punto di vantaggio (12 a 11) sulla Salernitana che però deve recuperare due gare. Il Cagliari l’ha superato e con 16 punti è tornato in corsa per la salvezza. A 17 c’è il Venezia, con una partita da recuperare contro la Salernitana. A 19 punti, lo Spezia, a 20 Sampdoria e Udinese (i friulani devono giocare due partite di recupero) a 21 il Verona. Una tonnara. Obiettivamente salvarsi è diventata un’impresa, difficilissima ma non impossibile. Difatti il Genoa ci proverà. Con o senza Shevchenko.
Ora però la società sta assestando l’organico e i primi tre arrivi, schierati a San Siro con ottimi riscontri, Hefti, Yeboah e Ostigard (il difensore norvegese ha timbrato addirittura il provvisorio 1-0 per il Grifone) hanno dato una scossa benefica. E sono sembrati rinforzi azzeccati. In arrivo ci sono il terzino sinistro Calafiori, l’ala tedesco-afghana Amiri, trequartista e mezz’ala; intanto di tratta per il danese Holse, attaccante del Rosenborg. Il nodo che ha ingarbugliato la situazione riguarda proprio Shevchenko. Assunto con un faraonico contratto a due milioni e mezzo di euro stagione fino a giugno 2024. Doveva essere, Sheva, la pietra angolare sulla quale edificare il nuovo Genoa, un club di respiro internazionale, frutto di una nuova filosofia di fare calcio ad ampio spettro. L’investimento era cospicuo, a conti fatti per due stagioni e mezza abbondanti il Genoa aveva destinato quasi una quindicina di milioni alla voce “area tecnica della prima squadra”. Non è facile, obiettivamente, cancellare radicalmente quel primo embrione del nuovo corso rossoblù, Nella valutazione entrano anche valutazioni di ordine per così dire umano e di immagine. Licenziare in tronco un monumento come Shevchenko potrebbe rivelarsi un boomerang, la certificazione di un fallimento e un brutto danno di immagine.
Inoltre il rispetto dovuto all’ex Pallone d’oro consiglia i dirigenti di trovare una alternativa al licenziamento. Rassegnare le dimissioni sarebbe un sacrificio eccessivo per Sheva, la risoluzione consensuale del contratto, con ricca buonuscita, potrebbe rappresentare una decorosa exit strategy per società e allenatore. Un aiuto in questo arriverebbe se la Polonia offrisse a Sheva la panchina da ct. Boniek però ha smentito. Dopo i “no, grazie”, di Cannavaro e Pirlo. Pirlo, ecco. L’ex juventino era il “cavallo” di Preziosi dopo il licenziamento di Ballardini. Ma gli americani dissero di no. Loro guardano alla discontinuità su un orizzonte europeo. Ed ecco quindi Sheva. Anche il mercato di gennaio conferma la scelta di guadare all’Europa. A medio termine questo a impostazione pagherà. Senonché oggi si deve provare a salvare la categoria e calciatori italiani o che conoscono il nostro calcio sarebbero più affidabili.