TORINO – Lo scriveva giusto sul giornale di ieri il collega Andrea Pavan, nel suo fondo: «Ma quando riapriamo il Fila ai tifosi?». Adesso ne poniamo un’altra, di domanda: quante volte Tuttosport, nell’ultimo lustro, ha lanciato appelli, raccolto le accorate invocazioni (e le proteste) dei tifosi e ha tenuto ciclicamente alta l’attenzione su uno dei paradossi più sconfortanti e in fondo sin masochistici del Torino Fc? Il Fila chiuso come un tombino, sigillato come una cassaforte e off-limits manco si trattasse di un’area militare è sempre stato una sconfitta, oltreché una mancanza di riguardo nei confronti della tradizione e delle aspettative della tifoseria. Senza neanche evocare, in merito, l’indicazione (per cicliche aperture) riportata nello statuto dell’omonima Fondazione, l’ente che promosse la ricostruzione e gestisce il centro sportivo, affittato al Torino in forma esclusiva. Il Fila è sempre è stato definito, decennio dopo decennio, con uno slogan a suo modo veritiero ed efficace: la culla del Toro, la casa della sua gente. Ed è storia, non retorica. Tanto quanto è storia la lunga marcia che ha portato questo giornale, insieme con migliaia di tifosi, a lottare per la rinascita del Fila sin dalla coventrizzazione del 1997. Un Filadelfia ricostruito, funzionale e ospitale. I ruderi Anni 20 preservati ad imperitura memoria (dai che forse tra qualche mese saranno restaurati!), il museo del Grande Torino e della Leggenda Granata trasferito definitivamente in quel quadrilatero (quando? Anche questo traguardo è scritto nello statuto della Fondazione). Su tutto e attorno a tutto, la possibilità per i tifosi di accedervi ciclicamente: non una volta all’anno, a mo’ di foglia di fico.
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