Una favola senza lieto fine. Ma pur sempre una favola, soprattutto se rapportata alle pagine scritte da predecessori e successori. Tra tutti gli acquisti operati sotto la gestione Urbano Cairo, infatti, quello di Gianluca Petrachi è stato forse il più fortunato, almeno in ottica di profitti societari. Perché, a sua volta, ha innescato un circolo virtuoso di movimenti sul mercato. L’ex direttore sportivo li ha sempre rivendicati e, a quasi tre anni dal suo burrascoso addio, li ha ribaditi una volta di più. «Ho impiegato dieci anni per portare il Torino a un livello diverso dall’autogestione: nei miei ultimi cinque o sei anni, addirittura, producemmo 200 milioni di plusvalenze e riuscimmo al contempo a qualificarci per l’Europa League – ha ricordato Petrachi in un’intervista a Il Mattino –. Tutto questo partendo dalla Serie B, con un ossatura composta da giocatori italiani, a cui unire alcuni stranieri che avrebbero portato un guadagno considerevole. E così è stato».
Se da una parte i conti nelle dichiarazioni sono arrotondati per eccesso, dall’altra l’onda lunga del lungimirante lavoro del dirigente granata dal 2009, quando prima affiancò e poi sostituì Rino Foschi, al 2019, estate della brusca rottura con la Roma sullo sfondo, è ancora piuttosto tangibile. Basti pensare al consistente gruzzolo che il club incasserà dalla cessione di Bremer, ieri sconosciuto azzardo pescato dal Brasile e oggi centrale tra i più solidi di tutta Europa. Azzardo pescato da Petrachi, naturalmente. Sulla scia di tante altre intuizioni, fortunate a livello tecnico e ancor di più a livello economico: da Zappacosta, prelevato dall’Atalanta e rivenduto al Chelsea, fino a Maksimovic, ceduto a peso d’oro al Napoli dopo averlo bloccato dall’Apollon Limassol. Ma l’elenco è davvero lungo e comprende, naturalmente, anche pezzi pregiati come Immobile e Cerci, Glik e Darmian.
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