Un’unica cosa bella. Davvero solo una. Ma così bella da valere la pena (è il caso di dirlo) di una partita ancora troppo brutta per la Juventus. Dentro il meraviglioso gol di Nicolò Fagioli si stringe tutta la speranza del popolo bianconero di sfuggire al grigio sconforto del presente, rifugiandosi in una Juventus diversa, più giovane, più bella, più juventina. Le lacrime di Nicolò valgono più della vittoria, perché la sua commozione restituisce sentimento a una squadra che sta inaridendo il suo rapporto con i tifosi e ritrova speranza proprio grazie al tifoso Fagioli. Juventino nato, cresciuto nel mito di Alessandro Del Piero, che ieri ha emulato con un tiro a giro identico a quello di Alex contro la Steaua Bucarest nel settembre del 1995 e ha pianto dopo il gol che sognava da tutta la sua vita. Servono i sogni per scacciare gli incubi e ricongiungendo l’ultimo quarto d’ora di Lisbona al gol di Lecce si intravede una lucina nel buio di una stagione storta e deludente. Allegri non è un allenatore per giovani, ma dovrebbe iniziare a crederci, se non altro perché i giovani sembrano gli unici a crederci. Fagioli, Soulé, Miretti, Iling hanno rinfrescato l’aria viziata di una squadra che ha bisogno di trovare un’anima prima ancora che la forma fisica e un gioco. Non possono le loro giovani spalle reggere da sole il pesante destino della stagione juventina, ma sarebbe una follia prescindere dal coraggio e dalla qualità che hanno aggiunto alla sciatteria agonistica vista nei primi tre mesi.
Un’altra Juve è possibile: lezione da apprendere
Un’altra Juve è possibile, un’altra Juve può prendere corpo perché Vlahovic e Kean hanno 22 anni, Locatelli e Gatti 24, Bremer 25. Ripartire da chi ha più fame, rigenerare un senso di appartenenza, forgiarsi i propri guerrieri invece che noleggiare costosi mercenari. Forse è proprio questa la lezione da apprendere nella settimana di tormento della Juventus, passata dall’umiliante eliminazione in Champions a una sfida contro il Lecce sofferta come una semifinale contro il Real Madrid. Perché tolto qualche fiammata dei giovani e il lampo di Fagioli, la Juventus ieri ha espresso il nulla. E lo ha espresso senza ritmo né intensità. Dell’attesa rabbia per l’eliminazione di Lisbona non v’è stata traccia, in compenso è comparso un nervosismo un po’ isterico che ha portato a quattro folli ammonizioni nei primi ventotto minuti di gara. Della Juventus di ieri, tutt’al più, si può salvare la perseveranza e lo spirito di sacrificio di qualcuno. Si può osservare il consolidarsi della leadership di Danilo. Sperare che con una prestazione del genere si possa evitare una sconfitta con il Psg mercoledì allo Stadium oltrepassa i confini dell’illusione. Ma a qualcosa si deve appigliare, la Juventus, per rimanere aggrappata alla stagione che rischia di scivolarle via troppo prematuramente. D’altronde, fino alla pausa per il Mondiale la squadra è costretta a vivere di partita in partita. Poi, nei cinquanta giorni di stop ci sarà tempo per tirare bilanci e progettare la seconda parte dell’annata e forse non solo quella. E nelle lacrime di Fagioli, forse, ci sono gocce di futuro.
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