I tifosi del Toro, ieri sera, ridevano per non piangere. Sbacaliti quelli che stavano davanti a uno schermo per vedere Salernitana-Spezia, increduli e convinti di essere presi in giro dagli amici quelli che avevano letto la notizia in chat sugli smartphone o postata su qualche social. “Non ci credo: ha segnato Verdi su punizione”. “Dai oh, non sfottere”. “Ma se con noi ha regalato più palloni agli spettatori in curva lui in due anni e mezzo che i tennisti palline al pubblico nei tornei dello Slam dal 1940 a oggi”. “Daaaiiiii, ne ha fatto un altroooo”. “Sì, va be’, che ci ho scritto Giocondo qua? Adesso è chiaro che mi stai pigliando per i fondelli”. “Sì, mo’ mi dirai che ha segnato pure Verde”. Cose così. Da ridere per non piangere, appunto. Perché era tutto vero. Poi dicono che i cuori granata (granata Torino, non granata Salerno) si inventano le storie per alimentare leggende, vittimismi e aneddoti da sfiga cosmica.
Verdi, al Toro, era diventato il simbolo non solo del talento sprecato e dei soldi (24 milioni) buttati, ma proprio dell’involuzione tecnica e dell’implosione mentale che nel club di Cairo da una vita trasformano i campioni in brocchi e gli assi in scartine, nemmeno di briscola.
Preso facendo leva soprattutto sulla sua favoleggiata abilità di stoccatore da fermo, Verdi non soltanto nel Toro non ha mai segnato su piazzato (salvo una volta, per sbaglio, quando lui voleva crossare e il portiere di riserva del Bologna se la buttò in porta da solo) ma era arrivato a riassumere tutte le negatività di quasi 5 anni senza una rete diretta su punizione per l’intera squadra, dirottando sulla sua figura dimessa e depressa gran parte delle amare ironie: l’ambidestro, lo chiamavano, con sarcasmo. Oppure, l’ammazzabarriere. Quando l’arbitro dava un fallo dal limite, tutti a ridere: “alé, andiamo ad aspettare il pallone in strada”, oppure “occhio che adesso abbatte il primo a sinistra”.
Ieri sera, in meno di un quarto d’ora, due su due, con addirittura uno specialista come Ribéry a lasciargli l’onore sulla fiducia: prego, si accomodi. Traiettorie sublimi, palla all’incrocio, portiere uccellato, pubblico in visibilio, telecronisti esaltati, tifosi (del Toro) sconvolti. “Cioè, fatemi capire: in due giorni è diventato Zico”, ha scritto uno. “O gli stavamo proprio sulle scatole o nello spogliatoio del Fila lo bullizzavano, sennò non si spiega”, ha twittato un altro. Ma di commenti del genere se ne sarebbero potuti trascrivere a centinaia, nel giro di pochi minuti, mentre l’inedita faccia goduta di Simone ancora correva per il prato dell’Arechi e imperversava sui monitor. Allora: detto che la palla è rotonda e il calcio un mistero buffo – la cosa che più riesce a renderlo tuttora affascinante malgrado storture e tristezze del football moderno – certe dinamiche da Re Mida all’incontrario dovrebbero sul serio far riflettere Cairo: sulla sua fortuna, sui suoi metodi nel gestire l’ambiente e i rapporti, in seno al club e con la piazza. Quasi nessun tifoso ieri dava la colpa a Verdi, bensì al Torino FC, ricordando le belle prestazioni anche di altri due “reietti”, Rincon con la Samp e Baselli col Cagliari (del resto è difficile pensare che uno faccia apposta a giocar male); o Berenguer che beffa il Real Madrid e Boyé nelle mire dell’Atletico.
Meditate gente, meditate.