«È stato come trovare un diamante un po’ sporco. Dimenticato e impolverato. Non ho dovuto fare altro che capire come ripulirlo, come lucidarlo un poco per farlo tornare a brillare». Cesare Prandelli è il gioielliere che ha saputo incastonare Dusan Vlahovic nel grande calcio e anche il narratore di un intero capitolo di “Vlahovic, non finisce qui”, il libro che verrà presentato oggi, nella giornata inaugurale del Salone del Libro di Torino. Un volume che narra le storie e gli aneddoti del bomber, che ha solo 22 anni, ma già molta vita e molti gol da raccontare. E molti allenamenti, aggiunge Prandelli: «È ossessionato dal lavoro. A volte pure troppo! Mi ricordo le ore passate in campo dopo gli allenamenti a migliorare i movimenti o imparare certe situazioni. A un certo punto dovevo dire: basta Dusan, andiamo a fare la doccia. E lui insisteva, come un bambino: “La prego mister, ancora un esercizio, ancora un cross, ancora un controbatto, ancora un attacco al primo palo”. Dovevo impormi quasi alzando la voce: dai Dusan, non possiamo stare qui cinque ore, andiamo a fare la doccia e a riposare». Prandelli è l’uomo decisivo nella carriera di Vlahovic, quasi un secondo padre, come spesso ricorda lo stesso Dusan.
E se Cesare è il “papà” calcistico del bomber, Alberto Marangon è lo zio. L’ex team manager della Fiorentina (oggi alla Sampdoria) è un’altra figura chiave ed è un’altra delle voci narranti del volume. «Del primo incontro con lui mi ricordo la mole. Era un ragazzo, certo, ma era enorme. Un gigante con il visino pulito di un adolescente. Il contrasto era quasi comico, perché il fisico era possente, da uomo, e poi aveva un po’ di acne giovanile da liceale. Ma quello che mi colpì erano gli occhi, perché aveva lo sguardo di uno che sapeva esattamente dove voleva arrivare. Lo stesso sguardo che avevo visto in Mauro Icardi quando era arrivato alla Sampdoria. Ora, oggi Icardi è cambiato, sono successe tante cose nella sua carriera, ma se qualcuno si ricorda il giovanissimo Icardi della Sampdoria era un giocatore con una determinazione fuori dal comune. E quando ho conosciuto Vlahovic per la prima volta, ho visto nei suoi occhi la stessa luce. È una cosa difficile da spiegare a parole, ma dopo tanti anni che sono nel calcio capisco quello sguardo, lo riconosco, mi dà una sensazione diversa…. …Fin dai primi giorni si vedeva la sua voglia di migliorare. Certamente gli ha dato una mano la presenza di Milenkovic, serbo come lui e anche un po’ più grande di lui. Ma quello che mi ha colpito è stato il fatto che l’ho sempre visto arrivare per primo all’allenamento e andarsene per ultimo, molto dopo gli altri, con un supplemento di lavoro in palestra. La cura del suo strumento di lavoro, cioè il suo fisico, è fondamentale per lui: non è solo una questione di forza di volontà, ma di consapevolezza, di comprensione di quanto sia importante il lavoro per migliorarsi. E Dusan vuole migliorarsi sempre. Il piano allenamento della giornata prevedeva generalmente l’allenamento al mattino e il pranzo obbligatorio al centro sportivo. Terminata la seduta verso mezzogiorno, davamo spazio a tutti fino alle 14.30 per terapie o massaggi, ma poi dopo una certa ora gli addetti alla cucina volevano andare a casa. Quindi a me toccava sempre andare a recuperare Vlahovic in palestra e dovevo minacciarlo di fargli saltare il pranzo! E non era in palestra a cazzeggiare, ma a lavorare seriamente sul potenziamento o sugli aspetti posturali». E poi c’è Pantaleo Corvino che spiega come l’ha scovato nel Partizan. E tutti i retroscena della trattativa fra la Juventus e la Fiorentina, un affare da 75 milioni di euro che, per certi versi ha rotto certi riti del calciomercato, con l’approccio completamente diverso di Maurizio Arrivabene. Nel capitolo dell’affare di gennaio, infatti, ci sono retroscena inediti della missione a Firenze dell’ad e di Federico Cherubini, che faranno la gioia degli amanti delle avventure di calciomercato.