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Albertini esclusivo: “L'amore per il Milan, il poster di Tardelli. E oggi il Padel”

MILANO – «Quando mi chiedevano per chi tifavo da bambino, io rispondevo per il calcio. Mi piaceva Tardelli, ma non festeggiavo in piazza gli scudetti della Juventus. O del Milan, visto che andai a vedere la prima partita a San Siro quando avevo circa 10 anni, poco dopo aver firmato per il club rossonero. Io da bimbino ero innamorato del calcio». Demetrio Albertini, più di 600 gare da professionista fra club e nazionale, 17 trofei, comprese 3 Champions League, a 51 anni quando parla della sua passione per il pallone, si illumina.

I primi calci al pallone?
«Ricordo delle foto dei miei genitori in cui ero immortalato in piedi con il pallone in mano o a gattoni mentre andavo a prenderlo. Capito? Col pallone camminavo, senza no! Per me con la palla fu un amore a prima vista. Poi quando ero all’asilo, a 5 anni, mio fratello Alessio che era più grande di me, ne aveva 9, veniva a prendermi nel pomeriggio facendomi uscire un’ora prima per portarmi a giocare con i suoi coetanei».

Il passaggio successivo fu l’oratorio di Villa Raverio vicino a casa sua a Besana in Brianza.
«Prima ancora le partite in strada con tanti vetri rotti, così come i cancelli o le basculanti di alcuni garage. Le dico solo che misero delle piante nel giardino di fronte a casa mia per non farmi giocare su quel prato».

L’amore per il calcio lo vide subito come una prospettiva di lavoro?
«Assolutamente no. Per me era un sogno perché ero un bambino ed è giusto che a quell’età, ma anche successivamente nell’adolescenza, venga sempre visto in quel modo. E lo dico io che vivevo per il calcio perché le mie domeniche erano scandite dalle mie partite la mattina o il pomeriggio, le radiocronache di “Tutto il calcio” e le immagini dei gol a “90′ minuto”, le figurine e le schedine. Ma io sognavo col calcio, non lo vedevo in prospettiva come un lavoro. Sono i genitori che lo fanno, che si illudono, non i bambini e questa è una cosa che racconto tutt’oggi da dirigente. Io ho iniziato a pensare al calcio come una professione neanche dopo l’esordio a 17 anni col Milan, ma a 19 quando sono andato in prestito al Padova. Mi servii per capire se il debutto in rossonero era un premio o poteva diventare qualcosa di più».

Aveva il poster di qualcuno in camera?
«Sì, di Tardelli, dopo il Mondiale del 1982». 
 
Cosa portò con sé al Milan degli anni all’oratorio?
«Il rispetto. Ma anche la generosità e la condivisione».

Quello col Milan fu un colpo di fulmine?
«Da bambino tifavo per la nazionale, però quando firmai per il Milan ed entrai a San Siro mi pare per un Milan-Catania, l’amore fu immediato. Ricordo anche la mia prima gara in rossonero, un derby a Prato in un torneo: vincemmo solo… 6-0».

Prima ha parlato del rapporto figli-genitori. Ha lavorato spesso con i giovani: qual è il primo valore che ha cercato di trasmettere?
«Il rispetto dei propri compagni. Perché tutti parlano degli avversari, ma prima vengono loro, perché sei dentro una squadra e bisogna rispettare chi sta intorno e il sacrificio e le rinunce che si fanno per raggiungere gli stessi obiettivi».

Ai suoi figli ha trasmesso l’amore per lo sport?
«Si. Federico si è dato alla scherma, mentre mia figlia Costanza ha praticato mille cose, l’equitazione, il pattinaggio artistico su ghiaccio, lo sci e il nuoto. Credo che alla fine per un giovane sia importante fare sport, soprattutto agonistico perché aiuta a misurarsi con altri».

Se non fosse stato il calcio, cosa avrebbe amato? Lei per esempio già nel 2002, fra i primi in Italia, quando andò a giocare in Spagna conobbe il padel.
«Una passione nuova, mi coinvolse subito. E oggi il padel mi regala le stesse emozioni del calcio, che però rimane il primo grande amore».

E oggi Albertini cosa ama?
«Amo donarmi agli altri».


Fonte: http://www.tuttosport.com/rss/calcio/serie-a

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