Da bambino giocava punta, poi ha indossato i guantoni e non li ha più tolti. L’ascesa di Ivan raccontata da chi l’ha seguita da vicino
Renzo, Claudio e Filippo non hanno chiuso occhio. A San Polo di Piave erano tutti troppo felici per riuscire a dormire. Gli sembra di star vivendo un sogno. Sebbene non facciano i portieri e non abbiano segnato un gol di testa al 95’ in Champions contro l’Atletico Madrid. Però nella storia di Ivan Provedel hanno un ruolo fondamentale. Loro c’erano quando la carriera del portiere della Lazio è cambiata per sempre. È un giorno d’estate del 2009: a Oderzo, paesino della provincia di Treviso, organizzano uno stage per giovani portieri. C’è un biondino alto, ha 15 anni e fa l’attaccante. Ha giocato con le giovanili del Pordenone, ma non ne può più di stare davanti. Vuole lasciare il calcio. La voce arriva a Renzo Zanet, storico osservatore della zona. Si siede sugli spalti dello stadio, su un foglietto scrive appunti: “Chi è quel ragazzo?”, chiede agli organizzatori. “Si chiama Ivan, è il suo secondo giorno tra i pali. Sta imparando”. Con una telecamerina riprende gli allenamenti, studia ogni movimento. “È bravo, merita una chance. Lo porto al Liapiave”. Da attaccante a portiere, nuova vita. Un’intuizione quasi visionaria. Se Ivan in area ci sa fare, il segreto sta tutto nel suo passato da punta.